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Nella piazza di Marrakech nel giorno dell’attentato

In Marocco tredici anni dopo lo scoppio di una bomba che uccise tre giovani ticinesi e ferì gravemente la loro amica, unica sopravvissuta a quel 28 aprile

Il Café Argana, teatro della tragedia, come appare oggi
1 maggio 2024
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Ritrovarsi a Marrakech tredici anni dopo, senza averlo pianificato, senza averlo programmato. Lo chiameremmo un amaro segno del destino. Era il 28 aprile 2011, poco prima di mezzogiorno, quando un’esplosione all’interno del Café Argana, nella caotica e famosa piazza Jamaa el Fna, nel quartiere più antico della cittadina marocchina, la Medina, uccise 18 persone e ne ferì altre 25. Dall’iniziale ipotesi di un’accidentale esplosione di gas, si passò al segno chiaro del terrorismo. Oggi, fra accuse incrociate, da al-Qaida ai militanti filogovernativi, si conosce il volto di chi ha attivato quel telecomando, ma la matrice resta sconosciuta.

Fra le vittime (8 cittadini francesi, 2 marocchini, un portoghese, un russo, un canadese, un inglese e un olandese), vi furono anche tre giovani ticinesi: Corrado Mondada, André Da Silva Costa e Cristina Caccia che, riportata in patria con un jet della Rega, lottò con la morte per otto giorni. Con loro l'amica Morena Pedruzzi, ferita gravemente, l'unica sopravvissuta del gruppo di amici.

Il 28 aprile 2024 eravamo in quella piazza con lo sguardo alto sulla terrazza di quel café. Nello stesso luogo, nella stessa ora. Noi viaggiatori e turisti nel giorno in cui, anziché la vivacità di un Paese multiculturale e frenetico, abbiamo respirato il silenzio di un tragico ricordo e di un devastante destino. Ci siamo immaginati fra quei tavolini, fra un aperitivo e un cous cous, i sorrisi e la spensieratezza della gioventù che ti porta a visitare culture diverse, ma anime simili. Ci siamo seduti su quelle sedie capaci di offrirti una vista imprendibile sul cuore di Marrakech, sulle colorate bancarelle dove si vende di tutto, dalle spezie alla frutta secca, da un capo d'abbigliamento copiato ai maggiori brand di moda mondiali al variopinto vasellame, pashmine, preziose lampade, sandali in pellame, profumato olio di argan.

Chissà cosa si stavano confidando Morena, Cristina, Corrado e André in quel momento, quali monumenti avevano visitato, come avevano sfidato motorini e scooter fra le strette e infinite viuzze, un complicato labirinto quasi come le calle veneziane. Chissà se sulla laguna ci erano stati... se hanno avuto la possibilità di cavalcare un cammello fra le dune del Sahara, a poche ore di cammino...

In quei minuti che hanno stravolto per sempre la quotidianità di intere famiglie, da un minareto la voce di un muezzin ha intonato una delle preghiere della giornata, un canto che pareva partecipare allo stesso dolore, così profonda e così contraddittoria in un folle discorso di ‘guerra santa’ fra cristiani e musulmani. Lì nel pullulare di uomini e donne, di bambini e anziani, cittadini marocchini o dell'intero mondo, tutto, intorno, pare essersi fermato nel momento in cui sul nostro cellulare è comparsa l'ora esatta di quel 28 aprile 2011. La pazzia dell'essere umano ha squarciato non solo la terrazza di un bar, ma soprattutto le speranze nel futuro di tre giovani amici, oltre che ferire gravemente nel corpo e nell'anima Morena che, dopo 13 anni, continua a portare con sé gli effetti terribili di quell'assurdo e mortale tasto.

Resta la speranza di pace, non solo fra i popoli tutti, ma soprattutto dentro ciascuno di noi. Quella pace che nei rumori assordanti e nelle fragranze di Marrakech è ancora aleggiata. Anche in questo, quasi, mezzogiorno.

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