laR+ L'intervista

Markus Poschner, la regola del dieci

Dieci anni a Brema, Dresda, Berlino. Lascerà l’Osi per Basilea, ma il 2025 è lontano. Il 20 aprile al Lac, la Sinfonia Manfred di Čajkovskij.

Dirige l’Orchestra della Svizzera italiana in dialogo con un brano di Oscar Bianchi, con il Coro Clairière e la mezzosoprano Christina Daletska
(Kaupo Kikkas)
19 aprile 2023
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«Sì, mi sono divertito. Certo, un’orchestra di questa qualità è abituata a suonare in posti dall’ottima acustica, tema fondamentale per noi: i nostri strumenti sono ‘vuoti’, vi è la necessità di una cornice di auditorium o grandi sale come il Lac e affini. Un club è un poco strano, ma non è questo il punto, perché il compromesso sonoro era inevitabile. Importante era costruire un ponte con una tipologia differente di pubblico».

Abbandonate (da tempo) le atmosfere Studio 54 di Osi@Vanilla, Markus Poschner ha rimesso i panni del costruttore di ponti. Uno di questi condurrà l’Osi oltre confine, il 23 aprile alla Isarphilharmonie di Monaco di Baviera e il 6 e 7 maggio al Bodenseefestival. Prima ancora, un ultimo Osi al Lac, domani alle 20.30. Saranno anche le ultime ‘Tracce’, tre anni di rilettura di Piotr Il’ič Čajkovskij. Al Lac la sinfonia ‘Manfred’ sarà in dialogo con un brano contemporaneo del compositore svizzero-italiano Oscar Bianchi, la suite ‘Alfredo’, in prima assoluta al Lac con il Coro di voci bianche Clairière e la mezzosoprano Christina Daletska. Oggi alle 12.30, sempre al Lac, un ‘Lunch with Osi’ che del Manfred svelerà i segreti.

È dal Vanilla che siamo partiti, nelle pause delle prove allo Stelio Molo, per arrivare al futuro di Poschner, atteso fra due anni dalla Sinfonieorchester di Basilea…

Osi@Vanilla è qualcosa di ripetibile?

Un concerto al Lac, al quale siamo abituati, è qualcosa di molto serio, costoso, è una tradizione centenaria. Eppure al nostro tempo è importante creare diversità, disporre di un portfolio vario. Non parlo di repertorio crossover, bensì dell’importanza di non essere in un solo posto soltanto, parlo di aprire le nostre porte e le nostre menti. È importante dire che siamo noi andare verso il pubblico, quello può restare dov’è. Artisticamente parlando, invece, sono rimasto incantato dall’apparato di luci di cui dispongono a Riazzino. Se un’orchestra avesse un po’ di tempo in più tempo per provare, e un budget leggermente più ricco, potrebbe fare cose bellissime con l’illuminazione. Sarei curioso applicare tutto questo a un’altra sinfonia, aggiungendo un’interpretazione di luci.

Come un’opera, ma senza le voci…

Sì, un'opera con un unico attore: la musica. In passato, Skrjabin fece esperimenti in tal senso, e così Prokof'ev, nei cambiamenti dal buio al giorno della sua Suite scita. Penso al buio di una sinfonia come la Nona di Mahler. Credo si tratti di una visione molto interessante per i concerti del futuro. Non voglio cambiare le nostre regole di base, naturalmente, lo considero un add-on.

Anche perché il pubblico del Vanilla, benché fosse libero di farsi un drink durante la vostra esecuzione, è rimasto al suo posto, rispettosissimo...

È vero. Credo si deva al fatto che al Vanilla c’erano molti nostri fan, ma è vero anche che ho visto tanti visi giovani. Duecento anni fa, in fondo, negli anni di Mozart a Napoli, o nella Parigi del tempo, la prima di un’opera era un party, a volte qualcosa di più, e in queste situazioni si è fatta musica fantastica. Una performance è sempre, alla fine, una specie di party. A volte siamo troppo imprigionati nella tradizione, quasi obbligati a non respirare, e a non tossire. Ferma restando la problematica di quei piccoli momenti di distrazione che per un musicista possono rappresentare un problema, ed è sacrosanto che un ‘pianissimo’ necessiti di concentrazione. Keith Jarrett, per esempio, il silenzio lo chiede direttamente al pubblico.

Keith Jarrett ci metteva poco: prendeva e se ne andava…

… qualche volta sì (ride, ndr). La concentrazione è quella che chiedo anche io. Eppure, amo questo nuovo approccio, anche nei confronti di Čajkovskij. Si ascolta una musica diversa, quello del Vanilla era un nuovo Čajkovskij per noi.

Osi@Vanilla è stato parte del be-connected dell’Osi: la connessione è funzionata?

Abbiamo avuto tanti feedback positivi, di chi ci ha detto di non essere mai stato a un concerto di musica classica, di non avere mai sperimentato il potere della musica seduto a fianco di un’orchestra, vicino ai timpani o ai fiati, a sentire la forza fisica di un ‘fortissimo’. Il be connected è un nuovo punto di vista, non solo uditivo. È qualcosa che io posso percepire dalla mia posizione di direttore, giusto al centro di un’orchestra, ed era ciò che volevo far percepire alle persone.

Le ‘Tracce’ di Čajkovskij si chiudono domani. Un Čajkovskij in forma più cameristica che sinfonica: un bilancio dell’esperienza?

Abbiamo fatto la stessa cosa con Brahms e Rossini: sinfonie così famose formano un greatest hits che puoi trovare ovunque nel mondo, ed è un grosso problema per noi musicisti perché ci disabituiamo a leggere la partitura. Conosciamo tutti la Patetica, ma se si guarda a quale sia stata l’intenzione del compositore, a volte si scopre che essa era molto diversa dalla cosiddetta ‘tradizione’. Un esempio: abbiamo appena registrato la Quinta di Čajkovskij in una versione totalmente differente da quella ‘stabilita’; dopo averne pubblicato la partitura, il musicista fece molteplici correzioni, arrivando a eliminare fino a 150 battute del finale. Questa nuova partitura è acquistabile da soli cinque anni e io ne sono rimasto folgorato, perché cambia il significato della sinfonia: non è più la Quinta eroica, dal finale trionfante, ma la Quinta buia, depressiva, dal finale grottesco. Questo è stato di grande ispirazione per me.

Affascinante. Potrebbe accadere la stessa cosa con chiunque altro…

Certamente. Con Verdi, con Wagner, specialmente con i capolavori. Ci sono tanti layers, tanti livelli. È una cosa da archeologi: sposti la polvere e trovi un reperto, scrosti un intonaco e scopri un dipinto di Leonardo, e ha colori imprevedibili. Accade anche con Manfred, insieme a Oscar Bianchi, per una nuova prospettiva ancora, un nuovo approccio. Il nostro non è il tentativo di fare un Čajkovskij migliore, né di farlo a pezzi, ma uno specchio sull’oggi.

L’Osi all’estero è ambasciatore culturale di un movimento, di un’attitudine, di una tradizione: cosa vi aspetta?

Casa nostra è Lugano, ma per un’orchestra di tale qualità è importante essere competitiva, confrontarsi con città della musica come Monaco di Baviera, Vienna, Londra, Berlino, per rappresentare Lugano e il Ticino, sì, ma anche per dimostrare che siamo da Champions League. Serve provare a chiamare la standing ovation anche a pubblici stranieri, esperienza che fa bene all’igiene dell’anima.

Il suo futuro è a Basilea: ci spiega questa scelta?

È stata una decisione personale. Io amo l’Osi e viceversa, ma sto invecchiando (ride, ndr). Sono arrivato nel 2013, nel 2025 saranno dodici anni. Tornerò, e suoneremo, ma essere direttore principale è un’altra cosa, e per l’Osi è importante trovare nuova ispirazione. Loro sanno esattamente quel che io faccio, io so esattamente quel che fanno loro. Se si guarda alla mia biografia, in fondo, sono sempre intervalli di dieci anni: sono stato dieci anni a Brema, dieci a Dresda, dieci in Austria a Berlino quasi. Dieci anni è un buon tempo anche per trovare nuove ispirazioni, nuove persone. Il mio insegnante diceva che ci può essere evoluzione solo se lasci andare qualcosa.

Anche se non si vorrebbe lasciar andare…

Sì, potrei restare, ma il pericolo è la ripetizione di sé stessi. Io vivo il panico di essere il museo di me stesso, e rifuggo questa eventualità.

Quale Osi lascia, e qual è il futuro dell’orchestra?

Lascio grande qualità, musicisti fantastici, un’orchestra forte, che continuerà a ‘combattere’ per nuovi sponsor, nuovi artisti, e che connetterà nuovo pubblico. Lascio felice di aver rivisto la Sala Teatro piena in ogni ordine di posto dopo il Covid. Credo che si riponga fiducia in noi, e la fiducia è decisiva soprattutto se non ci si limita al repertorio manistream, ma si mette un piede anche nel contemporaneo. E anche se pare strano, è l’Osi con Poschner, dunque è credibile. Il futuro? Chi arriverà, chiunque sarà, porterà del cambiamento. Dovrà farlo, perché così dev’essere. Ci sarà una nuova Osi, e ci sarà anche un nuovo Poschner.

Si è già immaginato l’ultimo giorno? Ha preparato i fazzoletti?

Ma certamente! (ride, ndr). Ma ora non mi ci faccia pensare.

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