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L’industria del tessile a rischio

Opportunità di cambiamento

Vestiti in un negozio
28 gennaio 2023
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L’industria dell’abbigliamento e del tessile è stata fondata sull’acqua e rimane intimamente legata a questa risorsa. I produttori sono fortemente influenzati dai sistemi fluviali, dalle zone umide e dai delta dove sono sorte alcune delle più grandi città del mondo. Ora il WWF – insieme a Open Supply Hub – ha stilato un rapporto che illustra i crescenti rischi idrici per i principali fabbricanti a livello mondiale. Se da un lato l’acqua ha alimentato la crescita e il successo dell’industria, dall’altro è un problema che, a causa delle attività umane, rappresenta oggi, per loro, un rischio. Raggruppando i siti di produzione, non solo possiamo iniziare a comprendere meglio i pericoli fisici condivisi per l’acqua (e anche i siti co-localizzati in altri settori, come l’industria elettronica), ma possiamo anche capire meglio le opportunità per i produttori, se effettueranno alcuni cambiamenti fondamentali. Basti pensare che il settore contribuisce in maniera significativa alle emissioni globali di gas serra con 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 annue. Qualcosa va cambiato. Sia per la Terra che per l’industria stessa, che è fortemente a rischio.

I rischi del settore

Dal rapporto emergono diversi messaggi chiave. Gran parte dell’industria è concentrata in pochi grandi cluster e molti di questi sono altamente esposti ai rischi legati all’acqua. Alcuni insediamenti sono particolarmente densi (ad esempio, Dacca, nel Bangladesh), cosa che acuisce il problema, ma offre al contempo maggiori opportunità di collaborazione. I pericoli vanno dalla scarsità dell’acqua alla bassa efficienza idrica, per non parlare delle incombenze legate alle inondazioni e al peggioramento della qualità dell’acqua. Si tratta di rischi importanti a cui il settore deve dare priorità. Con l’aumento dell’instabilità climatica, l’ambiente della produzione tessile deve sostenere i fornitori per migliorare la loro resilienza, al fine di evitare interruzioni della catena di approvvigionamento. Come dimostrano le sempre più forti inondazioni in India e Pakistan questa è già una realtà che può verificarsi in qualunque momento. Alle nostre latitudini il problema pare al momento toccarci solo da lontano, ma per le persone che operano in quest’ambito la situazione rischia di compromettere la loro stabilità. Data la situazione, l’attenzione alla protezione, alla gestione e al ripristino delle zone umide rappresenta la prossima urgente sfida da intraprendere. Le zone umide sane, infatti, non solo contribuiscono a mitigare le inondazioni, ma purificano l’acqua e contribuiscono ad affrontare la carenza idrica, migliorando al contempo gli ecosistemi degradati. Curare la salute di queste zone diventa quindi un modo multiforme per affrontare i rischi che affliggono i siti nella maggior parte dei cluster.

Le opportunità

Esistono notevoli opportunità: la condivisione di progetti tra i siti e i cluster di tutto il mondo è una di queste. Ciò si estende anche alla partecipazione alle sfide e alle soluzioni con altri settori co-locati, come l’Ict (Information and Communication Technologies) o altri ambiti che possono essere esplorati attraverso l’Open Supply Hub. La comprensione dei rischi legati all’acqua è fondamentale lungo tutta la catena di produzione. Ci sono le persone che lavorano nel settore delle materie prime (coltivazione del cotone ecc.) e quelle che vanno a lavorare la materia per poi trasformarla in capi d’abbigliamento. Coinvolgere inoltre i clienti dà ai marchi la possibilità di agire attraverso prodotti, servizi e iniziative di marketing e sensibilizzazione innovativi. Già nel 2012 il WWF aveva lanciato il sito "Water Risk Filter". Si tratta di uno strumento online, pratico e gratuito, che aiuta le aziende a valutare meglio i rischi e le opportunità legate all’acqua in modo da poter agire per tempo. Al momento sono oltre 4mila le imprese che utilizzano questo strumento, tra cui anche colossi come H&M o Ralph Lauren Corporation. Tre anni fa, infine, l’applicazione è stata potenziata e lo screening fornisce anche scenari climatici futuri. Le aziende possono calcolare se gli interventi fatti porteranno a situazioni ottimistiche o pessimistiche entro il 2030 e il 2050. Il calcolo dimostra quanti interventi vadano ancora fatti per ristabilire gli ecosistemi, cosa bisogna fare per ridurre l’inquinamento delle acque e come si deve agire a livello socio-economico. Il sistema Open Supply Hub (OS Hub) affianca questo sistema: è accessibile a tutti e crea una mappatura completa che può essere utilizzata a livello globale. I dati sono affidabili e chi è del settore può contribuire a questa forma di collaborazione.

Le previsioni

Dal rapporto emerge che la scarsità d’acqua metterà in ginocchio entro il 2050 ben 13 cluster del settore del tessile. Parliamo di oltre 7mila aziende. La situazione è particolarmente preoccupante per i cluster di Qingdao (Huai’an) e Shanghai, entrambi sulla costa orientale della Cina. Se spostiamo l’attenzione alle inondazioni, i dati raccolti ne coinvolgono oltre 20mila. Si tratta di un quinto di tutte le sedi controllate dal sistema OS Hub. Si prevede che verranno colpiti da inondazioni con una frequenza circa quattro volte superiore rispetto ai decenni passati. Quasi tutti i cluster ad altissimo rischio si trovano nelle regioni del Sud e del Sud-Est asiatico. In cifre si parla di 53 cluster, che corrispondono al 64% di tutti i siti dove operano aziende di abbigliamento. A livello di qualità dell’acqua, inoltre, entro il 2050 ben tre quarti delle aziende dell’industria dell’abbigliamento dovranno far fronte a un suo massiccio peggioramento. Diventerà quindi un problema critico per l’industria del futuro. Già oggi, con il 52% di tutti i siti a rischio elevato, il settore deve intensificare al massimo i suoi sforzi per migliorare la situazione. Infatti, secondo i dati raccolti, ben 44 cluster sono a rischio estremo. Le regioni più in pericolo sono: Calcutta (India), Bangalore (India), Dacca (Bangladesh), Karachi (Pakistan), San Salvador (El Salvador), Nagpur (India), Bangkok (Thailandia) e Chennai (India). Gli hot-spot si trovano invece in Turchia e Brasile, dove il rischio di dover affrontare tutte e tre le crisi è molto elevato.

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