La 13esima Avs è stata approvata da popolo e cantoni. Per la sinistra è un successo storico. La destra, che l’ha sottovalutata, fa mea culpa.
«La destra può solo biasimare sé stessa e deve assumersi le proprie responsabilità. Non siamo mai stati capaci di fornire risposte sull’Avs o sui costi della salute. Se si dice no a tutto senza fare proposte, il risultato è questo». Più onesta di così non poteva essere Céline Amaudruz. Sugli schermi della Rts, nel commentare il sì alla 13esima Avs che si andava delineando, la consigliera nazionale ginevrina e vicepresidente dell’Udc ha riconosciuto senza giri di parole il peccato d’arroganza in cui sono incorsi i partiti borghesi e le organizzazioni economiche. Non è stata l’unica a farlo. «È chiaro che avremmo dovuto fare un controprogetto. Questo deve servirci da lezione», ha detto il consigliere nazionale Olivier Feller (Plr/Vd). Un’alternativa in effetti c’era: sul tavolo della commissione della sicurezza sociale del Consiglio nazionale, nell’autunno del 2022, la sinistra aveva messo questa proposta: la 13esima Avs solo al 40% dei pensionati meno abbienti. La maggioranza ‘borghese’ non ne ha voluto sapere, salvo poi tentare in extremis di vendere alla popolazione un aumento mirato delle rendite minime dell’Avs. A quel punto però i buoi erano già fuori dalla stalla. E così oggi – mentre è già battaglia sul finanziamento della mensilità supplementare (vedi gli altri articoli in pagina) – chi ha peccato d’arroganza si morde le mani.
Lo si è capito subito come si stavano mettendo le cose. Ancora prima della chiusura delle urne, dai Grigioni e da Zurigo – tra gli osservati speciali in una votazione che si pensava potesse decidersi sul piano della maggioranza dei cantoni – arrivano indicazioni incoraggianti per i fautori della proposta sindacale. Alle 12.01, alla televisione svizzero tedesca il politologo dell’istituto gfs.bern Lukas Golder dà già per certo il sì popolare. Poi alla spicciolata arrivano i risultati parziali di altri cantoni ritenuti in bilico: Argovia, Soletta, Basilea-Campagna si incamminano verso il sì, Lucerna verso il no. La prima proiezione del gfs.bern, alle 12.31, indica un 58% di favorevoli e un 42% di contrari. Per Golder anche la questione maggioranza dei cantoni è «praticamente liquidata». Una previsione confermata poco dopo, quando arriva il dato di Glarona (56,4% di sì), e che si consoliderà nelle ore seguenti. Alla fine l’iniziativa dei sindacati, sostenuta dalla sinistra, verrà approvata con il 58,2% dei voti e da 15 cantoni.
Gli occhi erano puntati su alcuni di questi. Dato per scontato il consenso dei sei romandi e del Ticino, ne occorrevano altri cinque nella Svizzera tedesca per raggiungere la maggioranza necessaria. Fra i possibili ‘swing States’ (‘cantoni traballanti’, per analogia agli Stati Uniti) venivano citati Soletta, Basilea-Campagna, Sciaffusa, Glarona, Lucerna e Grigioni. Le percentuali più alte di favorevoli si sono effettivamente avute nei cantoni latini, Ticino compreso (vedi infografia). Non c’è stato alcun ‘Röstigraben’ (né alcuna spaccatura evidente fra città e campagna, come avviene spesso), anche se nei cantoni germanofoni che hanno detto sì le percentuali sono state – come ci si aspettava – più basse. Germanofoni sono tutti e dieci i cantoni contrari alla 13esima Avs (con percentuali che vanno dal 51% circa di no di Turgovia e San Gallo a quasi il 69% di no ad Appenzello-Interno).
Non capita spesso (circa una volta su 10) che una proposta di modifica costituzionale vada in porto. Ed è la prima volta che la sinistra riesce a far passare alle urne un potenziamento dell’Avs. Il risultato di per sé non giunge inatteso. A sorprendere è piuttosto la sua ampiezza, tanto a livello di consenso popolare quanto sul piano dei cantoni. Gli ultimi sondaggi, a metà febbraio, davano il sì sempre in vantaggio (Ssr: 53%; Tamedia/‘20 Minuten’: 59%). Ma i favorevoli alla 13esima Avs sembravano essere in perdita di velocità. Un fenomeno abituale, nel caso delle iniziative popolari. Nell’intensa fase finale della campagna è stata così paventata una certa smobilitazione degli elettori pensionati. Che però non c’è stata. La partecipazione al voto (57,6%) è risultata fra le più alte mai registrate. E questo ha giocato a favore dell’iniziativa.
L’argomento centrale dei sindacati e della sinistra – la difesa del potere d’acquisto delle pensionate e dei pensionati – ha dominato una campagna vivace come poche. Unione sindacale svizzera e alleati sono riusciti a far passare il messaggio che “questa è un’iniziativa per il ceto medio” (il presidente dell’Uss Pierre-Yves Maillard un paio di settimane fa in un’intervista alla ‘SonntagsZeitung’). Non a caso la loro proposta ha provocato non l’abituale spaccatura fra destra e sinistra, bensì linee di frattura ‘interne’. Come quella tra l’Udc e una fetta importante del suo elettorato, composto per lo più da persone in là con gli anni e di condizioni socioeconomiche medio-basse. Oppure nel settore agricolo, dove non tutte le organizzazioni la pensavano come la potente Unione svizzera dei contadini, schierata (con scarsa convinzione) per il no. O ancora tra le associazioni che difendono gli interessi delle pensionate e dei pensionati: Pro Senectute ha taciuto, le altre si sono suddivise più o meno equamente tra favorevoli e contrari. Forse più compatte (ce lo diranno le analisi post voto) le donne: la 13esima Avs ha probabilmente catalizzato un certo sentimento di rivincita, dopo il rospo che hanno dovuto ingoiare nel 2022 con l’approvazione in votazione popolare dell’aumento da 64 a 65 anni dell’età di pensionamento.
Sull’altro fronte, i contrari hanno insistito sulla difficile situazione finanziaria dell’Avs e sulla rottura del contratto generazionale tra anziani e giovani, denunciando pure uno sperpero di denaro pubblico, per effetto di una distribuzione ‘a innaffiatoio’, a vantaggio anche di chi non ne ha bisogno. I loro argomenti non hanno attecchito. In una campagna sprint, entrata nel vivo dopo le ferie natalizie e rallentata da quelle di carnevale, i fautori del no sono scesi in campo con colpevole ritardo, quando gli avversari già avevano dettato il ritmo. Udc, Unione svizzera degli imprenditori (designati capofila dei contrari) e alleati hanno tentato di recuperare terreno nelle ultime settimane, forti di un budget di circa 3,5 milioni di franchi (sindacati: 2,5 milioni circa). Un rush finale che però non ha cambiato i connotati di una campagna rimasta sempre piuttosto formalistica e sottotono, priva di volti carismatici in grado di suscitare identificazione con i loro argomenti. La trovata di chiedere a cinque ex consiglieri federali con rendite d’oro di scrivere una lettera a centinaia di migliaia di pensionati è stata una pessima idea. Dall’altra parte, un empatico e credibile Pierre-Yves Maillard ha avuto gioco relativamente facile.
La votazione sulla 13esima Avs consacra l’entrata sulla scena politica di un ‘nuovo’ attore politico: la generazione dei baby boomer. Queste persone nate fra il 1946 e il 1964 – per lo più consapevoli, ben formate, rivendicative, battagliere, che hanno imparato a scendere in strada per far valere i loro diritti – “subentrano a una generazione di pensionate e pensionati che nella terza età piuttosto si sono ritirati e che erano sobri e meno impegnati”, ha spiegato di recente al ‘Tages-Anzeiger’ la sociologa Sabina Misoch. “Dopo questa votazione, l’impegno delle pensionate e dei pensionati continuerà allo stesso modo”, prevede l’esperta. Se si pensa che il 64% dei votanti ha più di 50 anni e il 34% più di 65 (tendenza all’aumento), si capisce bene quale peso politico avranno d’ora in poi i baby boomer.