Lo ha ribadito la Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale sostenendo, con 13 voti contro 12, una iniziativa parlamentare
La Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale (Cps-N) lo ribadisce: la cosiddetta "Lex Ukraine" è necessaria. Malgrado l’opposizione dell’omologa degli Stati, la Cps-N, con 13 voti contro 12 ha nuovamente deciso di sostenere l’iniziativa parlamentare che vuole permettere la riesportazione di armi svizzere verso l’Ucraina.
"La Svizzera deve sostenere maggiormente l’Ucraina e contribuire così alla sicurezza in Europa", si legge in un comunicato della commissione. La Cps-N non vede problemi per quel che concerne la neutralità: le proposte "non consentiranno l’esportazione diretta di materiale bellico in zone di conflitto, ma riguarderanno unicamente le dichiarazioni di non riesportazione firmate dai Paesi che hanno acquistato materiale bellico svizzero".
La maggioranza si dice comunque consapevole che l’iniziativa parlamentare solleva questioni relative alla neutralità. Tali questioni potranno però essere discusse durante i dibattiti in Parlamento.
Una minoranza sottolinea invece che la riesportazione di materiale bellico svizzero verso l’Ucraina è problematica per la neutralità, in particolare per quanto concerne il principio della parità di trattamento. L’impatto sulla guerra sarebbe inoltre marginale "data l’esigua quantità di armi e munizioni interessate". La Svizzera dispone infine di strumenti più efficaci per aiutare la popolazione ucraina, per esempio la fornitura di aiuti umanitari.
La parola passa ora al plenum. Il Consiglio nazionale ne discuterà durante la sessione speciale di inizio maggio, o durante la sessione estiva che inizia il 30 maggio.
La decisione odierna conferma quella presa dalla stessa della Cps-N a fine gennaio (con 14 voti a 11). A inizio febbraio la Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati (Cps-S) aveva però bocciato tale iniziativa parlamentare con 9 voti contro 3.
La Cps-S le aveva preferito una sua controproposta - elaborata anch’essa sotto forma di iniziativa parlamentare - che vuole limitare a cinque anni la validità delle dichiarazioni di non riesportazione firmate dai Paesi acquirenti di materiale bellico svizzero.
La disposizione sarebbe applicabile soltanto ai Paesi elencati nell’allegato 2 dell’ordinanza sul materiale bellico (Omb). Si tratta fra l’altro di Germania, Francia, Italia, ma anche di Giappone e Stati Uniti. I Paesi acquirenti dovrebbero impegnarsi a non riesportare materiale bellico svizzero in Paesi implicati in conflitti armati interni o internazionali e che violano gravemente i diritti dell’uomo. L’iniziativa chiede altresì che sia possibile la riesportazione di materiale bellico verso un Paese coinvolto in un conflitto armato se esso si avvale del diritto di autodifesa in virtù del diritto internazionale pubblico.
Nel comunicato pubblicato oggi, la Cps-N annuncia però di aver bocciato tale iniziativa, con 16 voti contro 7 e 2 astensioni. Per contro, con 12 voti contro 10 e 3 astensioni, la stessa Commissione della politica di sicurezza del Nazionale dice di aver depositato una nuova iniziativa parlamentare che ne riprende i punti essenziali.
Il nuovo atto parlamentare mantiene l’obbligo di non riesportazione. Eccezionalmente il Consiglio federale potrebbe in singoli casi specifici limitare tale clausola a cinque anni.
La clausola temporale potrebbe poi essere limitata solo se "il Paese di destinazione non viola in maniera grave i diritti umani, non vi è alcun rischio che il materiale bellico venga impiegato contro la popolazione civile e il Paese di destinazione non è coinvolto in un conflitto armato interno o internazionale".
Come nella iniziativa parlamentare immaginata dalla Cps-S, la riesportazione di materiale bellico sarebbe possibile se il Paese di destinazione si avvale del diritto di autodifesa in virtù del diritto internazionale pubblico. In tal caso, la violazione del divieto dell’uso della forza deve essere stata denunciata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite oppure da una maggioranza dei due terzi dell’Assemblea Generale.
La Svizzera ha infatti "il dovere di partecipare agli sforzi intrapresi in caso di violazione manifesta del diritto internazionale", reputa la maggioranza della commissione. Per la minoranza, invece, "questa modifica pone problemi in quanto una decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite non ha legittimità legale". Quest’ultima iniziativa parlamentare passa ora al vaglio della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati.