Emmanuel Genequand, di PwC Svizzera, spiega portata e problemi in Svizzera dei provvedimenti adottati in relazione alla guerra in Ucraina
Basi legali incerte, problemi di applicazione, ripartizione dei compiti non chiara tra Confederazione e cantoni, reale o presunta arbitrarietà nei confronti di attori economici russi non vicini al presidente Vladimir Putin. Il regime sanzionatorio che la Svizzera ha ripreso dall’Ue in relazione alla guerra in Ucraina è oggetto di critiche. La Commissione della gestione del Consiglio nazionale ha deciso di avviare indagini sull’operato del Consiglio federale e dell’amministrazione federale, ha riferito il ‘SonntagsBlick’. ‘laRegione’ ne ha parlato con Emmanuel Genequand, responsabile dei servizi Regulatory & Compliance della società di consulenza PwC Svizzera.
Signor Genequand, trova giustificate le critiche rivolte in particolare alla Segreteria di Stato dell’economia (Seco) e ai cantoni?
Non proprio. Tutto è stato fatto sulla base della Legge sugli embarghi, attraverso un’ordinanza del Consiglio federale. Come tradizionale vuole. Poi il contenuto delle singole ordinanze – ne sono state emanate 15-20 finora – può variare, perché esistono diversi tipi di sanzioni economiche: restrizioni al commercio e all’esportazione, divieti di entrata e transito per determinate persone, oppure il blocco degli averi finanziari e non finanziari. Ma il problema, con queste sanzioni finanziarie nei confronti della Russia, deriva piuttosto dal fatto che sono estese e che configurano una situazione con la quale in passato non siamo praticamente mai stati confrontati.
In che senso?
Prenda l’ordinanza del 2015 che istituisce provvedimenti contro il Burundi. Abbiamo un certo numero di persone sulle liste delle persone sanzionate, ma niente a che vedere con le centinaia che figurano su quella lista allestita in relazione alla guerra in Ucraina. Inoltre il Burundi – così come molti altri Stati finora colpiti da sanzioni – non ha legami stretti con la Svizzera, a differenza della Federazione russa. Per farla breve: tradizionalmente, le sanzioni finanziarie in Svizzera riguardavano essenzialmente patrimoni di privati custoditi dalle banche; queste erano e sono equipaggiate per identificare i conti in questione, bloccarli e annunciarli alla Seco. Con la Russia invece ci troviamo in tutt’altra dimensione. Parliamo sempre di risorse finanziarie tradizionali (depositi bancari, ecc.), ma anche di numerose imprese – alcune con filiali in Svizzera – e individui che possiedono diversi tipi di fondi e beni nel nostro Paese: proprietà immobiliari e di altro genere, titoli societari e via dicendo. Siamo lontani da quanto la Svizzera era abituata. Il fatto che Svizzera e Russia abbiano relazioni strette e diversificate – che non poche amministrazioni pubbliche e società finora ignoravano di avere – rende le cose estremamente complicate.
Molti cantoni hanno apparentemente un atteggiamento non proattivo. Anche perché ritengono traballante la base legale. Timori giustificati?
Nel suo promemoria ai cantoni, la Seco in sostanza dice che gli uffici del registro di commercio non hanno granché da fare. Per contro, quelli del registro fondiario devono informare immediatamente se sono a conoscenza di beni immobili suscettibili di essere bloccati. E per la Seco anche un obbligo di notifica per gli uffici cantonali delle contribuzioni, indipendentemente dal segreto fiscale, "sembra ammissibile". Verosimilmente, la legge sugli embarghi e l’ordinanza sull’Ucraina forniscono quella base legale sufficiente richiesta dalla legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette. La conclusione a cui giunge la Seco non mi sciocca.
Finora i cantoni hanno comunicato alla Seco 10 proprietà immobiliari di oligarchi russi sanzionati iscritte nei registri fondiari. Una cifra assai bassa, non trova?
È difficile sapere chi è proprietario di cosa. Ma tra beni immobiliari come châlet, ville, appartamenti di vacanza per uso proprio e beni immobiliari da reddito, mi sarei aspettato una cifra superiore.
Daniel Thelesklaf, ex capo dell’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio, sostiene che è "piuttosto irrealistico che oligarchi russi sanzionati figurino come proprietari nei registri fondiari".
Sì, in effetti mi sembra poco probabile. Molte di queste acquisizioni sono state fatte verosimilmente attraverso società immobiliari. In virtù della Lex Koller [che regolamenta l’acquisizione di beni immobiliari da parte di persone all’estero, ndr], sappiamo in alcuni casi chi sta dietro queste operazioni. Ma a livello di grossi patrimoni, direi che molto difficilmente dei beni immobiliari sono detenuti "in diretta" a nome della persona colpita da sanzioni. Probabilmente, a monte c’è una società o una catena di società.
D’altronde, dopo l’invasione della Crimea nel 2014, gli oligarchi russi hanno avuto tempo per prepararsi alle nuove sanzioni. "E sicuramente l’hanno fatto", ha dichiarato sempre Thelesklaf alla ‘Nzz am Sonntag’.
Dal 2014 e in particolare dal 2018, quando sono state allestite nuove liste di persone e società sanzionate, un certo numero di oligarchi che temevano – a torto o a ragione – di essere considerati vicini al Cremlino, hanno sicuramente rimpatriato attivi dalla Svizzera, oppure li hanno dirottati verso giurisdizioni più o meno sicure dal punto di vista delle sanzioni internazionali.
Gli Usa e altri Paesi hanno istituito delle task-force per rintracciare fondi e beni di proprietà di persone o società russe sanzionate. La Svizzera si limita a un obbligo di notifica. Basta?
L’obbligo di notifica è assolutamente efficace per il settore finanziario. In altri ambiti, come quello dell’immobiliare, la valutazione è giocoforza più sfumata. Il meccanismo raggiunge i suoi limiti, anche perché prima di poter notificare bisogna capire di essere obbligati a farlo. Una cosa che, quantomeno in una prima fase, non era per evidente per tutti.
Oltretutto, il settore immobiliare non è assoggettato all’obbligo di notifica previsto dalla legge federale contro il riciclaggio.
Esatto. Qui non esiste uno specifico obbligo di notifica. E ci troviamo in un ambito tradizionalmente distante dai regimi delle sanzioni internazionali. Ora anche un’agenzia immobiliare che sa di amministrare la proprietà di un russo sulla lista dei sanzionati è tenuta a informare subito la Seco. Ma un mese fa, quando la Svizzera ha ripreso le sanzioni Ue, al di fuori del settore finanziario e delle grandi aziende che esportano determinati beni, pochi erano equipaggiati per ottemperare ai loro eventuali obblighi.
Banche, registro di commercio, registro fondiario, autorità fiscali, punti franchi doganali: dove concentrerebbe gli sforzi?
Nel settore immobiliare, anzitutto. Poi nei punti franchi doganali, dove sono stoccate opere d’arte e altri beni di lusso. Ma qui ormai vige l’obbligo di tenere un elenco dei beneficiari economici. Non è così invece per i registri di commercio, sprovvisti di tali liste. Il Gafi [Gruppo d’azione finanziaria internazionale, ndr] ne raccomanda l’adozione alla Svizzera: è qualcosa di assai complesso da istituire, ma renderebbe meno larghe le maglie della rete. Questi registri esistono già in alcuni Paesi europei. E prima o poi arriveranno anche da noi.