laR+ Pechino 2022

Lara Gut-Behrami campionessa olimpica di superG

Dopo i titoli iridati di Cortina, con la medaglia d’oro nel superG la fuoriclasse ticinese ha regolato anche i conti con i Giochi olimpici

11 febbraio 2022
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Sulla neve resta il solco del passaggio dell’atleta. Profondo, quello lasciato da Dario Cologna, segnato dalla sofferenza. Una traccia marcata, lo sci affonda sotto il peso della fatica e di una carriera giunta al capolinea. Le motivazioni al ribasso non agevolano lo sforzo. Al contrario, appesantiscono le gambe, rallentano l’esercizio.

Appena visibile, per contro, la scia di Lara Gut-Behrami. La sua è una carezza alla neve, solo sfiorata. Il solco è invisibile allo sguardo e percettibile solo al tatto, tanta è la leggerezza che ne ha accompagnato la discesa. Non perfetta, no, ma efficace. Nella profondità del solco c’è tutta la differenza tra un risultato deludente (quello di Cologna), ben al di sotto delle attese della vigilia, e un autentico trionfo che consegna la ticinese alla leggenda dello sci alpino, dello sport più in generale, e non solo di quello svizzero. Già, perché la dimensione nazionale sta decisamente stretta a Lara, da inizio carriera ai vertici della disciplina, oggi sul tetto del mondo con l’incoronazione a regina delle nevi senza rivali. Checché ne dica lei, convinta che una medaglia d’oro non cambi il valore della sua carriera. Ci sia consentito dissentire: chi compete, lo fa per vincere. Ai livelli di eccellenza l’atleta campa costruendo i presupposti per un titolo, per una medaglia. Quindi, quando centra l’obiettivo è legittimato a urlare di gioia con fierezza, anche se non è la prima volta. Nel rispetto, anche e soprattutto, di chi compete con te ma non riesce a vincere, nonostante abbia fatto tutto quanto va fatto in sede di preparazione.

Dodici mesi da urlo

La sciatrice ticinese più vincente della storia, la seconda a imporsi alle Olimpiadi nello sci alpino dopo Michela Figini, oro in discesa nel 1984, in dodici mesi si è presa tutto quello che ancora mancava a una carriera comunque già sensazionale, arricchita ora con il pezzo mancante alla collezione, l’oro olimpico (prima svizzera in assoluto a imporsi in superG ai Giochi), la medaglia con la quale ha chiuso il conto aperto con la rassegna a cinque cerchi. A Vancouver 2010 aveva dovuto dare forfait per l’infortunio all’anca; a Sochi 2014 conquistò sì la medaglia di bronzo in discesa, ma chiuse la gara a soli dieci centesimi dall’oro che andò al collo di Tina Maze; a PyeongChang 2018, la stagione del rientro alle competizioni dopo un serio infortunio al ginocchio, il bronzo lo sfiorò, in superG, giacché chiuse quarta a un misero centesimo dal terzo posto, a dodici – un’inezia anche quella – dal titolo. Titolo che, rivangando in un passato fatto di gloria e di qualche battuta a vuoto anche decisamente sfortunata, sembrava stregato. Fino a Pechino. Fino alla straordinaria rimonta nella seconda manche del gigante che le è valso un bronzo che le ha dato lo slancio necessario per compiere l’ennesima impresa, la più bella della carriera, quella della consacrazione definitiva ed eterna. Una medaglia, quel bronzo, dal valore inestimabile, in termini di motivazione, consapevolezza e fiducia, sulla quale ha costruito un capolavoro di tecnica e tenacia. Un “garone” alla Gut, per intenderci.

Le difficoltà dell’inizio del percorso impreziosiscono il valore del traguardo tagliato per prima. La caduta nel superG di St. Moritz, all’indomani della prima vittoria stagionale, e la positività al Covid che l’ha debilitata rallentandone la preparazione sono state compagne di viaggio molto scomode, in grado di minare anche le certezze più granitiche. Il successo nella libera di Zauchensee è stato un segnale premonitore: un ritorno al vertice con il quale ha ribadito che alle Olimpiadi entrava nello stretto novero delle candidate alle medaglie. Una “rivendicazione” alla quale ha fatto seguire i fatti, e che fatti. Cinque cerchi in bacheca, d’oro scintillante. Lara si è presa le Olimpiadi, da fuoriclasse incontenibile quale è quando sorretta dalla condizione fisica e mentale dei giorni più felici.

A Cortina, lo slancio

A ben vedere, forse, la corsa alla gloria suggellata dall’oro olimpica è iniziata un anno fa, ai Mondiali di Cortina, dove la ticinese “fece pace” con un altro grande evento che qualche dispiacere le aveva pur dato, i Campionati del mondo. Sulle Dolomiti Lara si presentò forte di cinque medaglie – non che in passato non avesse mai dato prova del suo talento, ci mancherebbe, tanto da presentarsi in Italia con tre argenti e due bronzi – ma senza la medaglia d’oro che fa la differenza tra una principessa e una regina. Arrivò ai piedi delle Tofane e dominò il superG e poi il gigante (ne fece le spese una che di sci e di vittorie se ne intende, Mikaela Shiffrin), per poi rimpolpare il bottino con il bronzo in discesa.

Il suo palmarès ora contiene proprio tutto, come si compete agli sportivi più grandi in assoluto, quelli che avranno il loro nome scritto a caratteri d’oro nei libri di storia dello sport e potranno raccontare a figli e nipoti di aver vinto tutto quanto c’era da vincere. Generale di Coppa del mondo compresa (2015/16) e tre Coppe di specialità di superG. Per un totale invidiabile di 34 successi, che la pongono al nono rango nella nobile gerarchia delle atlete più vittoriose nel Circo bianco.

Le reazioni

‘Non credevo bastasse’

Commossa fino alle lacrime Lara Gut-Behrami ha ammesso di «realizzare a fatica quanto sta succedendo», rinviando a più tardi la completa presa di coscienza di quanto realizzato a Pechino. «Non è stata un’attesa semplice – ha poi detto riferendosi ai momenti trascorsi al traguardo guardando scendere le sua rivali –. Anche in passato ho vissuto momenti così e non ero del tutto convinta della mia prova, pur sapendo che era andata piuttosto bene. Ho avuto il timore che non bastasse, che mi mancasse un decimo. La neve è bella ma il tracciato era sconosciuto. Non abbiamo nemmeno fatto le prove della libera, era dunque tutto da scoprire». Proprio quel decimo che la privò dell’oro a Sochi nel 2014. «Di certo ero più nervosa all’arrivo che alla partenza».

«A 16 o 17 anni – ha poi aggiunto – avrei firmato anche solo per avere un terzo della carriera che ho avuto. È stata una stagione complicata, e resta tale. Fatico a trovare la giusta continuità nella sciata, ne pago le conseguenze a livello mentale. Ci sono vicina, ma ancora non scio come vorrei. Forse mi manca ritmo, abitudine alle gare. Ho però imparato a gestirmi, grazie all’esperienza. So cosa mi è d’aiuto e ciò che invece mi costa in termini di energia. Quando resto lontano dalle piste recupero e posso prepararmi al meglio. L’anno scorso prima dei Mondiali ho passato una settimana a casa, a Genova. Anche stavolta ci sono rimasta qualche giorno. Gareggio da 15 anni, ormai, ma per avere sempre l’energia giusta ed essere pronti bisogna avere il giusto equilibrio. Se sono ancora in attività, è solo perché voglio ancora sciare, non per altre cose. Per le stagioni che mi restano prendo un giorno alla volta. Sovente, in passato, mi focalizzavo troppo sulla gara successiva, senza godermi appieno il successo del momento». Avevo l’impressione di dover sempre dimostrare qualcosa, che mancasse sempre un’ulteriore vittoria per certificare quanto avevo fatto. Oggi, per contro, mi limito a fare del mio meglio. Non è certo una medaglia d’oro a dare valore alla mia carriera».

Gisin: ‘Momento indimenticabile’

Splendida medaglia di bronzo, per la seconda volta sul podio dopo la vittoria di quattro anni fa in supercombinata, Michelle Gisin si è detta «entusiasta» ma anche un po’ «sorpresa dal fatto che la classifica sia rimasta quella» delineatasi dopo la sua discesa, guastata in parte da un errore di linea che le è costata la medaglia d’argento a beneficio di Mirjam Puchner. Sesta in slalom, l’obvaldese si è rifatta con gli interessi: «Mi sono detto che era ora di smetterla di lamentarmi. Sapevo di essere competitiva e ho smesso di pensare all’occasione persa nella gara precedente. Ho sciato con lo spirito libero e mi sono regalata un momento indimenticabile».

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