CALCIO

Libertadores, la finale delle maledizioni

Sabato a Rio ultimo atto tra Fluminense e Boca Juniors, in un clima surriscaldato dagli incidenti delle ultime ore tra tifosi brasiliani e argentini

(Xeneizes)
3 novembre 2023
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Un agguato dei tifosi (del Fluminense) ai tifosi (del Boca Juniors) sulla spiaggia di Copacabana, oggi e ieri. Un assalto dei tifosi (del River Plate) al pullman dei giocatori del Boca, a Buenos Aires, a poche centinaia di metri dallo stadio Monumental, nel 2018. Un Paese - il Cile - sull’orlo della guerra civile, con le barricate in strada e la rivolta in piazza, quattro anni fa. Insomma, benvenuti alla finale di Coppa Libertadores.Il trofeo più ambito del calcio sudamericano si porta da sempre dietro storie di violenza gratuita (anche in campo, leggendarie quanto esecrabili le scazzottate dell'Estudiantes tricampeón dal 1968 al 1970) e di passione che si scioglie nell’alcol, nelle droghe o nella rabbia perdendo il suo senso di essere per diventare altro.

Giovedì la spiaggia di Copacabana era un tripudio di magliette gialloblù, del Boca, che si mischiavano a quelle tricolori del Fluminense (verde-bianco-rosso, non a caso, i suoi fondatori erano italiani): selfie in spiaggia, strette di mano, abbracci, partite di beach-ball miste e una Fan Zone dedicata ai tifosi con sponsor, premi, giochi per adulti e bambini e un’esposizione itinerante di cimeli della Coppa forse più ingombrante che un calciatore possa mai ritrovarsi ad alzare.

Lì c’è stata la prima scintilla, dopo un innocente coro di una decina di tifosi del Boca che si sono uniti a una delle tante canzoni uscite dagli altoparlanti della Fan Zone, “La Mano de Dios”, dedicata a Diego Armando Maradona, santo laico degli argentini e ancor più dei tifosi del Boca, di cui lui stesso era tifoso. Tutto aveva ancora l’aria di un gioco, ma un gruppo di tifosi del Fluminense si è sentito sfidato e ha iniziato a compattarsi, a ingrandirsi e a cantare cori. L’intervento della sicurezza è immediato e frena le violenze. Irrompe anche una specie di santone del Fluminense, con tanto di tonaca: si inginocchia, prega, abbraccia i rivali e cerca una sorta di trascendenza dove non c’è nulla di più terreno. Un paio d’ore dopo la situazione degenera, i tifosi del Fluminense si fanno branco e partono all’assalto di chi ha una maglia gialloblù: volano sedie e bottiglie, spariscono borse e portafogli. Gli argentini reagiscono e la polizia arriva per punire solo loro, con tanto di lacrimogeni e proiettili di gomma, facendo almeno in modo di disperdere tutti gli altri. Il bilancio è di due feriti e un arrestato, poteva andare peggio. Ma la preoccupazione è un’altra: sono gli altri tifosi del Boca in arrivo nelle ultime ore. Si parla di 100-150 mila persone a fronte di uno stadio, il Maracanã, che ne contiene 78'000, con gli organizzatori della Conmebol che hanno messo a disposizione della società di Buenos Aires 20'000 biglietti (altri 20'000 a quelli del Fluminense, squadra di Rio, e gli altri ai tifosi neutrali, anche se probabilmente in larga parte neutrali non saranno).

La soluzione è stata trovata ed è un sambodromo in cui sarà proiettata la partita per i soli tifosi del Boca senza biglietto, ma non tutti andranno lì e chissà cosa succederà. Ieri è anche trapelata l’ipotesi di spostare l’incontro altrove o di disputarlo a porte chiuse, rendendo il tutto asettico come ai tempi del Covid. La promessa di moltiplicare gli agenti e i militari a pattugliare Rio ha fatto rientrare la crisi e quindi oggi il Boca andrà alla ricerca della sua settima Libertadores (dovesse vincerebbe eguaglierebbe gli argentini dell’Independiente, la squadra che ne ha vinte di più) e il Fluminense - unico club storico del Brasile, assieme al Botafogo, a non aver mai vinto - a caccia della sua prima.

Un’occasione unica per i brasiliani, che giocano in casa nello stadio che condividono con gli storici rivali del Flamengo e l’occasione di rimettere - dopo cinque anni - le cose a posto per il Boca, la cui ultima finale è proprio quella delle bottigliate al proprio bus, poi persa a Madrid contro il River Plate: una ferita ancora aperta.

Io, quel giorno, ero a migliaia di chilometri di distanza dalla Spagna, dentro alla Bombonera, lo storico stadio del Boca, a vedere la partita con alcuni dirigenti e le loro famiglie in una tv che sembrava uscita dagli anni Ottanta. Non ero arrivato apposta per la partita, anzi avevo prenotato il volo per Buenos Aires in maggio quando la Coppa era ancora agli inizi. Una volta lì però cercai in tutti i modi di entrare allo stadio: vidi gli scontri fuori dal Monumental e - qualche giorno dopo - sempre da Buenos Aires appresi dello spostamento a Madrid della finale il giorno prima del mio rientro in Europa. Me la sono legata al dito e sono tornato l’anno dopo, prenotando un volo per Santiago del Cile, dove era prevista la finale Flamengo-River Plate. Tutto il Cile quei giorni era in rivolta: arrivai in una città devastata, con le metropolitane chiuse, i bus incendiati, i bambini con le fionde per le strade, i taxi che cambiavano strada davanti ai cassonetti in fiamme. La partita già non c’era più, spostata a Lima per motivi di sicurezza. Quando l’anno dopo ancora ero pronto a sconfiggere la mia personale maledizione e a prendere un biglietto per la finale di Rio, a fermare tutto ci pensò il Covid. Anche la partita fu spostata a gennaio del 2021, rendendo il Palmeiras, che vincerà quell’edizione e la successiva, l’unica squadra ad alzare due volte la Libertadores nello stesso anno solare, una a gennaio e l’altra a novembre.

Ora, se i tifosi si calmano, se non esce un’altra epidemia nel giro di mezza giornata o qualche altra sfiga tropicale assortita è arrivato il momento della finale tanto attesa: dal Fluminense, dal Boca e anche da me. Prossima fermata: Maracanã.

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