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Valores o gloria, che dilemma: il Mondiale da casa, protestando

L’ammutinamento in casa Spagna dimostra come le faide interne minino principi fondamentali, quali pari opportunità e salari equi

(Keystone)
18 luglio 2023
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Un allenatore dai metodi discutibili, una federazione accondiscendente (e non poco) e un malessere generalizzato in seno alla squadra. Niente di più lontano a una barzelletta, bensì la nuda e cruda realtà di alcune delle più blasonate nazionali. Un clima deleterio, tramutatosi in una mancanza di trofei e consacrazioni nonostante la materia prima di qualità. È il caso della Spagna, che durante l’ormai imminente Mondiale in Australia e Nuova Zelanda sarà confrontata con importanti defezioni. Il motivo? Una disputa interna fra quindici calciatrici e la dirigenza, in primis il selezionatore Jorge Vilda. De ‘Las 15’, come sono state ribattezzate, sette (fra cui Mapi León, Patri Guijarro e Nerea Eizagirre) hanno mantenuto fede ai loro principi rinunciando alla massima competizione internazionale; tutte sono disposte a sacrificare una fetta, o quasi, di carriera per cercare di forzare un cambiamento strutturale. Hanno invece fatto ritorno in rosa Aitana Bonmati, Ona Batlle e Mariona Caldentey. L’intenzione del 42enne di allestire “una nueva selección española” senza le cosiddette ribelli pare non essere realizzabile. D’altronde, rinunciare ad alcune delle migliori calciatrici del mondo, era chiedere troppo.

Da ‘Las 15’ a ‘Las 7’

È settembre: alle prese con le scorie dell’eliminazione ai quarti di finale dello scorso Europeo, quindici titolari (e non) della Roja inviano la medesima email alla federazione. “La situazione che si è venuta a creare in seno alla squadra, di cui siete tutti a conoscenza, deturpa il mio stato emotivo. E, di conseguenza, prestazioni e rendimento. Non sono in condizione di essere convocata e chiedo di non esserlo finché le premesse iniziali non rispecchieranno le nostre (comprensibili) ambizioni di crescita”. Nel volgere di pochi minuti la Spagna è rimasta senza la sua generazione d’oro. A questa presa di posizione sono infatti da aggiungere le dichiarazioni a sostegno delle compagne di squadra di Alexia Putellas, Jenni Hermoso e non da ultima Irene Paredes. L’email, resa slealmente pubblica dalla Rfef, era stata preceduta da una discussione informale con il presidente Luis Rubiales. Da mesi in rotta di collisione, le capitane si erano incaricate di esporre le preoccupazioni di gran parte della rosa circa l’inadeguata preparazione atletica e la posizione di Vilda, reo di aver instillato un regime ansiogeno. Secondo le dirette interessate, il 42enne controllava il contenuto (personale) delle borse e verificava che fossero effettivamente a letto a notte fonda. È stata inoltre criticata la pessima gestione dei carichi di lavoro e la scarsa professionalizzazione. Fattori che hanno causato alcuni evitabili infortuni, vedasi quelli di Leila Ouahabi e della sopracitata Mariona.

Un déjà vu: otto anni or sono Verónica (Vero) Boquete è stata costretta a chiudere la sua parentesi in nazionale a seguito di alcune denunce ai danni di Ignacio Quereda, per quasi tre decenni a capo delle Furie Rosse. Nell’arco di questi anni ha instaurato una cultura della paura, mediante abusi psicologici e verbali, commenti omofobi nonché manipolando e umiliando le ragazze; era inoltre tatticamente e tecnicamente inadatto, zero i titoli internazionali messi in bacheca (un po’ come il successore, ma in sette anni di attività). A tutto questo bisogna addizionare la mancanza di allenamento e preparazione: le giocatrici dovevano incontrarsi prima delle partite così da stabilire sistemi e tattiche di gioco, poiché Quereda non prestava nessuna attenzione a questi aspetti. “Volevamo un cambiamento, un coach e uno staff che ci permettesse di crescere. Volevamo migliori condizioni, volevamo vedere qualcuno lottare per la Nazionale”, ha evidenziato Boquete. Il 72enne è allora stato rimpiazzato da Vilda, ma la musica sembra non essere cambiata. L’unica differenza è che la rivolta de ‘Las 15’ ha interessato anche la federazione e i suoi leader (fra cui è presente il padre del madrileno, Ángel), che lo hanno fermamente difeso dalle accuse. Secondo El Mundo, l’attuale selezionatore, e il padre, hanno avuto un ruolo importante nella nomina di Rubiales. Una figura potente nella catena di comando. Il 42enne non è infatti solo l’allenatore capo, ma anche direttore tecnico. “Non permetteremo a delle giocatrici (tacciate di essere capricciose, ndr) di mettere in discussione la panchina e lo staff: una simile decisione non rientra nelle loro competenze. Queste manovre sono tutt’altro che esemplari. La convocazione non è negoziabile. È una situazione senza precedenti nella storia del calcio”. La Rfef ha minacciato di sanzionare le quindici ribelli con un’interdizione permanente da due a cinque anni (l’equivalente, per molte, della fine della loro carriera) dalla nazionale. La federazione ha infatti mantenuto la sua posizione, accettando di reintegrare le proprie giocatrici ‘solo’ previa scusa pubblica. Ha inoltre preferito affidare la fascia di capitano a un terzetto differente da quello composto da Putellas, Paredes e Hermoso.

‘Enough is enough’

Un moto di protesta in aumento. La nazionale iberica non è infatti l’unica a essere attanagliata da tensioni interne. A inizio anno in sciopero era finito anche il Canada. Le campionesse olimpiche hanno contestato i tagli finanziari, dichiarando di non essere disposte ad accettare un compenso inferiore a quello della loro controparte maschile. “Il nostro rendimento deve essere all’altezza, ma le risorse sono minori: campi di allenamento annullati... rosa e staff tecnico ridotti al lumicino. Limitazioni che hanno effetto sul nostro settore giovanile a causa di quella che la federazione chiama una ‘nuova realtà’ di bilancio”, ha puntualizzato la selezione con la Foglia d’Acero in una presa di posizione, promossa dalla compagine maschile. Una spaccatura ‘risoltasi’ con la minaccia da parte di Canada Soccer di intraprendere azioni legali e chiedere milioni di dollari di risarcimento se non fossero scese in campo (volenti o nolenti) in occasione della SheBelieves Cup. In risposta Sinclair e compagne hanno allora indossato una maglia viola con la scritta ‘enough is enough’ durante la sfida al cospetto delle paladine delle pari opportunità, gli Stati Uniti, schieratesi poi in cerchio in segno di solidarietà. In questo caso l’allenatrice Bev Priestman ha caldeggiato le sue giocatrici affermando di essere “orgogliosa, e onorata, di rappresentare queste ragazze. Non stanno lottando per loro stesse, ma per assicurarsi che le future generazioni abbiano le medesime opportunità della loro controparte”. Una discussione che ha portato alle dimissioni del presidente Nick Bontis a favore della parità di genere. La nazionale femminile ha raggiunto un accordo di finanziamento provvisorio che rispecchia i termini concordati con quella maschile. Il contratto non è tuttavia ancora stato firmato.

Qualche mese più tardi era stata la Francia, capitanata da Wendie Renard, una delle giocatrici più decorate in assoluto, a finire in un mare in burrasca. “Ho difeso questa maglia con passione, rispetto e impegno in 142 apparizioni – si è espressa sui social –. Amo la Francia più di qualsiasi altra cosa, ma non posso più tollerare il sistema. A queste condizioni non parteciperò ai Mondiali”. Una rinuncia seguita a ruota da altre due stelle, Marie-Antoinette Katoto e Kadidiatou Diani. L’allenatrice Corinne Diacre, in carica dal 2017, è stata infatti accusata di aver creato una cultura tossica, punendo le giocatrici così da affermare la sua autorità; in precedenza erano state Eugenie Le Sommer, Amandine Henry e Sarah Bouhaddi a esternare le loro criticità, venendo escluse dal giro della nazionale. La 48enne ha sempre ottenuto l’appoggio della federazione, capeggiata da Nöel Le Graët (dimissionario a causa di una serie di accuse di molestie sessuali). E il parallelismo è impressionante: un selezionatore in lotta con alcune delle più importanti giocatrici, e una federazione silenziosa. In casa Francia, la situazione almeno sembra essersi risolta con Diacre che è stata rimpiazzata da Hervé Renard.

Spagna, Francia e Canada sono tre delle migliori nazioni del pianeta. Ma il successo sul terreno da gioco non sempre è sinonimo di perfezione anche dietro le quinte. Queste proteste dimostrano che le giocatrici sono chiamate a schierarsi in prima linea e mettere a repentaglio la propria carriera se vogliono scardinare un sistema. La mancanza di potere rimane tuttavia una questione irrisolta. “Il panorama femminile è in crescita esponenziale, ma le autrici della sua ascesa sono paradossalmente le più impotenti quando si tratta di effettuare un vero cambiamento strutturale”, ha chiosato Sarah Gregorius, direttrice in scienze politiche e relazioni strategiche della FifPro. “La convocazione in nazionale è un grande onore, ma le calciatrici non devono accontentarsi. Loro, chiaro, vogliono scendere in campo; sai che qualcosa è sbagliato quando la squadra si dimezza. Dovrebbe essere il più grande campanello d’allarme, perché rinunciano a qualcosa sognato tutta la vita”. Una posizione difficile, poiché per molte è l’ultima occasione di indossare la maglia della nazionale ai Mondiali o addirittura sempre. Questa solidarietà aiuta però tutto il movimento, affinché il professionismo non sia più soltanto un miraggio.

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