Festeggia il mezzo secolo di vita il popolare sodalizio sportivo con sede nel caratteristico stabile in legno di via Cattaneo
«Qui pianteremo un ciliegio», mi dice Marco Frigerio, avvocato, classe ’64, cintura nera e presidente del Do Yu Kai Chiasso dal lontano 1985. «In Giappone, patria del nostro sport, è un albero molto simbolico, e resterà davanti alla nostra sede in ricordo perenne dei primi cinquant’anni del club». Siamo in zona Gas, in via Cattaneo, dove sorge l’iconica struttura in legno che ospita sede e palestra del sodalizio. «Il fatto di possedere una nostra struttura è un bel privilegio: altri club hanno invece il problema della condivisione delle palestre con altre società, che costringe a fare i salti mortali per via degli orari di utilizzazione o che obbliga a scomode convivenze».
Il fabbricato, nella città di confine, è davvero un edificio che tutti conoscono, anche chi di judo non sa nulla. «Era lo stabile che per alcuni anni aveva ospitato una sede provvisoria della Posta, in corso San Gottardo. Mio padre, con un socio pure lui fondatore del Do Yu Kai, decise di acquistarlo, smontarlo e rimontarlo su questo sedime, che il Comune ci ha messo a disposizione. Oggi la struttura è ancora identica, tranne per un paio di pezzi che abbiamo aggiunto in seguito, come l’atrio-ricezione e una seconda sala per la pratica».
Lo ‘chalet’ non fu però la prima sede della società. «Siamo il club di judo più anziano del distretto, anche se prima c’erano state altre esperienze, tutte durate poco: noi dunque siamo quella che dura da più tempo. Nel 1974 tenemmo i primi corsi in una struttura spartana, nel palazzo dove ora ha sede l’Age. Ci si cambiava nel corridoio, non c’erano spogliatoi né docce, tutto lo spazio era occupato dalla sala principale. Finché, nel 1977, diventammo proprietari della nuova sede, che i soci del club rimontarono pezzo per pezzo nel loro tempo libero».
Cosa si può dire di quei primi anni di attività? «La risposta degli appassionati è stata subito buona, anche se – come in tutto il Ticino – a Chiasso il judo vive di cicli, alcuni con maggiore adesione e altri con calo di entusiasmo. In certi periodi abbiamo proposto anche corsi di altre discipline, come karate, tai chi e aikido, ma ora – diciamo da dopo la pandemia, per una questione di spazi e distanze – siamo tornati ad occuparci solo di judo. La nostra società, in realtà, era nata come un’emanazione del Judo Club Carona, che ora nemmeno esiste più, ma dal 1978 siamo affiliati alla Federazione svizzera in modo autonomo».
E il sodalizio, in questi cinque decenni, di strada ne ha fatta: 160 soci attivi, di cui almeno 120 giovani, alcuni che praticano judo come puro divertimento e altri che invece lo fanno a livello agonistico, con impegno e coinvolgimento molto maggiore. Gli iscritti sono rappresentanti davvero di ogni generazione, dai cinque anni in su, fino alla cosiddetta terza età. «Ci sono gli ex atleti, che a una certa età capiscono che al judo non possono più chiedere quel che ricevevano un tempo, e che ora vi trovano altri stimoli e altre risposte. Ma c’è anche qualcuno che al judo si è avvicinato da adulto, magari appassionandosi dopo che era venuto ad accompagnare i figli. D’altronde, nel nostro sport l’obiettivo del successo non è prioritario: questa disciplina ti aiuta prima di tutto a realizzarti come persona, senza pensare per forza a prevalere sul tuo rivale. Si tratta di una ricerca di completezza della tua personalità seguendo precisi principi, ad esempio il rifiuto dell’egoismo».
Del resto, Marco mi spiega che Do Yu Kai significa ‘associazione degli amici della Via’, e Via è proprio la traduzione di judo: più che uno sport, è una filosofia, una forma di educazione. «Questa disciplina, non a caso, è consigliata anche per risolvere situazioni in casi di bullismo, sia per chi lo subisce – che così può acquistare maggiore fiducia in sé stesso – sia quelli che lo attuano, che nel judo trovano un canale in cui sfogare, con regole ben precise, l’esubero di energie. Senza dimenticare che noi, come altre società sportive, operiamo anche quale veicolo d’integrazione. Ad esempio abbiamo accolto con successo – solo per restare a questi ultimi tempi – ragazzi siriani o ucraini giunti nella regione per questioni di ordine politico».
Il successo nelle gare non sarà il pensiero principale del sodalizio chiassese, ma ciò non toglie che in questo mezzo secolo siano giunti anche importanti risultati. «Nel passato diversi nostri atleti hanno vinto i campionati svizzeri individuali, e una volta abbiamo vinto la Coppa Svizzera a squadre. A causa del Covid, purtroppo, qualche ragazzo ha abbandonato l’attività, e dunque non possiamo più fare gare a squadre, ma a livello di singoli abbiamo eccellenti judoka: l’anno scorso abbiamo conquistato due argenti ai Campionati nazionali, categoria cadetti, con Alessandra Regazzoni e Kai Burgisser».
Oltre alla piantumazione del ciliegio, quali altri appuntamenti caratterizzeranno le celebrazioni del cinquantesimo? «Stiamo definendo il programma: ci sarà una giornata di riunione generale, con lezioni speciali tenute da atleti saliti sul podio mondiale: dovrebbe essere il 21 ottobre, ma la data non è ancora definitiva. E poi stiamo scrivendo un racconto – intitolato appunto Le stagioni del ciliegio – che parla della vita di un bambino giapponese che inizia a praticare judo e poi diventa vicecampione del mondo: episodi di una vita che si dipanano, in modo simbolico, come fossero le quattro stagioni dell’anno».