VELA

Un po’ di Ticino dalla Bretagna alle Antille

Alla base del progetto della barca con cui lo skipper Alberto Bona affronterà la celebre Route du Rhum c’è una multinazionale con sede a Lugano

5 novembre 2022
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«Avremo condizioni molto impegnative, specie nella prima parte della regata. Del resto, non è una sorpresa: questa regata ha fama di essere molto dura perché si parte nella cattiva stagione dalle coste del Nord Atlantico. Da domani, dunque, avremo tanto mare e tanto vento per via di un vecchio ciclone diventato una depressione extra-tropicale. E poi sarà dura soprattutto perché saremo di bolina, cioè controvento, e dunque sarà difficile andare nella buona direzione e preservare la barca evitando rotture e altri inconvenienti». Parole – al telefono – di Alberto Bona, esperto velista torinese, 36 anni, laureato in filosofia. La competizione a cui si riferisce è la prestigiosa Route du Rhum, regata in solitaria senza scali e senza assistenza che, ogni quattro anni dal 1978, permette ai migliori skipper del mondo di misurarsi sulle 3’500 miglia (6’500 km) che separano Saint-Malo (Bretagna) da Pointe-à-Pitre (Guadalupa).

La barca con cui tenterà di attraversare l’Atlantico più velocemente dei suoi 54 avversari della Class40, che è uscita da un cantiere bretone e che issa il guidone dello Yacht club Bellano, è sponsorizzata dalla Ibsa, multinazionale farmaceutica fondata a Lugano quasi 80 anni fa. Molto sensibile a tematiche come sport inclusivo e protezione dell’ambiente, Arturo Licenziati – presidente e Ceo del gruppo Ibsa – ha subito sposato l’idea dello skipper piemontese, mettendo a sua disposizione tutto il supporto necessario: «‘Sailing into the future. Together’ – ha detto il dirigente – è un progetto internazionale che abbiamo fortemente voluto perché unisce elementi per noi prioritari e distintivi: innovazione tecnologica, impegno nello sport e per la collettività, oltre a responsabilità ambientale e sociale».


«Fra le cose che hanno aiutato a convincere il management dello sponsor a sostenere questo progetto», riprende Alberto Bona, «c’è il fatto che la vela rimane un mezzo ecologico e dunque utile per veicolare messaggi in questa direzione. Noi marinai, poi, siamo diretti testimoni dei cambiamenti climatici in atto, fenomeni che vediamo ogni giorno».

Può farci un esempio? «Nel 2019 ho fatto una traversata del Pacifico da Los Angeles a Honolulu con Giovanni Soldini, su un trimarano. E proprio in quella zona c’è un’enorme isola di plastica, formata da rifiuti di vario genere che provengono da ogni continente e che lì si ammassano. Ebbene, abbiamo investito un sacco di oggetti, ad esempio barili. In mare c’è davvero di tutto, e per me fu un po’ un trauma. Fra l’altro, in quelle collisioni abbiamo spaccato alcuni pezzi della barca. E poi, al di là dell’inquinamento, ci sono cambiamenti a livello di meteo: noi marinai giochiamo proprio sui fenomeni atmosferici, siamo dunque attentissimi alle condizioni del vento e del mare, fenomeni che studiamo a fondo. Ed effettivamente vediamo che negli ultimi anni le cose stanno cambiando, ci sono fenomeni molto violenti. Nel Mediterraneo, ad esempio, ormai compaiono piccoli cicloni. Io ho fatto la Middle Sea Race – regata autunnale attorno alla Sicilia – e a sud dell’isola mi sono imbattuto proprio in uno di questi cicloni, che fra l’altro ha fatto pure moltissimi danni. Questi cambiamenti in atto noi velisti li tocchiamo con mano, un po’ dappertutto».

La vita a bordo

Domani dunque Bona prenderà il mare da solo su un guscio monoscafo di una dozzina di metri con destinazione le Antille francesi: tempi di percorrenza previsti? «Per ora sappiamo solo che prenderemo grandi mazzate nella prima fase di navigazione, ma ancora non sappiamo cosa succederà nel secondo segmento, nella zona degli Alisei, che sono venti più stabili. Pare comunque che faticheremo a raggiungerli, e dunque non si può dire con precisione quanto impiegherò a compiere la traversata. Se devo stimare, dico 17-18 giorni».

Come ci si organizza in barca da soli? Ad esempio, come funziona per quanto riguarda l’alternanza fra veglia e sonno? «In barca devi fare molte cose – possibilmente al meglio – e dunque riposarsi e dormire sono aspetti fondamentali. È dunque qualcosa su cui lavoriamo molto, perché è indispensabile ritrovarsi lucidi quando si devono prendere le decisioni nel gioco strategico della scelta della rotta migliore. In quei momenti, devi essere fresco di mente. Ma dormire non è mai facile, specie a causa delle condizioni meteo. Tutto dipende dall’esercizio, dall’abitudine: bisogna conoscere molto bene sé stessi. Fra l’altro sul sonno esistono studi interessanti in cui le cavie utilizzate sono proprio dei velisti, perché le sollecitazioni a cui siamo sottoposti in navigazione sono molto preziose per gli scienziati».

E dal punto di vista atletico, come ci si prepara a un’impresa del genere? «Non faccio nulla di troppo particolare, l’importante è la gestione del tuo corpo, del tuo fisico, una volta che sei a bordo. Devi cercare di stare bene, in salute. Io a terra faccio corsa e altri sport, ma ciò che più conta per noi è la preparazione mentale: se stai bene di testa, poi sta bene anche il corpo. Ad esempio, quando in barca mi trovo magari in difficoltà, faccio esercizi di respirazione che mi permettono di staccare un po’ a livello mentale, ma anche fisico. Siamo di continuo sollecitati dai movimenti della barca, che sbatte parecchio, e dunque subiamo tensioni enormi che, almeno ogni tanto, dobbiamo poi riuscire a scaricare».

Come nasce una barca

Ci dica qualcosa della barca. «Si tratta idealmente di una mia creatura, ma ovviamente ci siamo affidati a progettisti molto esperti. Io ho partecipato poi anche alla fase di attrezzatura e di ottimizzazione dei sistemi di bordo, compresa la realizzazione delle vele. Ho dato insomma il mio supporto tecnico con l’occhio orientato soprattutto sulle performance, ovviamente».

E quando infine è stata varata quali sono state le vostre emozioni? «Mettere in acqua la barca è già stata una vittoria, un momento molto bello sia per me sia per lo sponsor. Non era facile riuscire a farlo nei tempi dati, anche perché ci trovavamo in una fase difficile, in cui i materiali iniziavano a scarseggiare, le consegne a ritardare e i prezzi a esplodere. Abbiamo fatto tutto in pochi mesi: abbiamo messo in acqua la barca soltanto il 3 agosto, siamo stati gli ultimi in ordine di tempo. Il merito di un traguardo raggiunto in così poco tempo è dell’enorme lavoro di squadra che abbiamo svolto. Devo ringraziare il mio team, che ha dato il massimo, ma anche ovviamente il cantiere e soprattutto Ibsa, che ci ha sostenuto al 100% consentendoci di essere così efficaci».

Quanto a lungo va testata una barca di questo genere prima di poterla ritenere idonea e di fidarsi ciecamente del materiale che hai a disposizione? «La fase di rodaggio, in realtà, non è mai finita. L’ottimizzazione, di per sé, non ha limiti. Ma noi, per via del tempo limitato a nostra disposizione, abbiamo dovuto fare delle scelte. E scegliere, si sa, è spesso la parte più difficile, perché devi decidere su quali aspetti porre la tua priorità. Personalmente, ho puntato molto sull’affidabilità, quindi, alla vigilia della partenza, mi sento tranquillo. Si tratta della mia prima Route du Rhum, ed è pure la mia prima traversata così lunga, specie con partenza in questa stagione, ma sono molto sereno perché abbiamo lavorato benissimo».

Dal punto di vista prettamente agonistico, quali sono i vostri obiettivi? A cosa puntate? «Credo di avere oggi un buon livello. Siamo stati gli ultimi, come detto, a mettere in acqua la barca, quindi abbiamo potuto lavorare più degli altri nella fase di progettazione. Ma proprio per questo motivo, inevitabilmente, abbiamo potuto navigare meno e dunque testare la barca in mare meno degli avversari, e di questo dobbiamo tener conto. Ad ogni modo la rotta è molto lunga, la barca è veloce e io ho una buona esperienza. Quindi, se riuscirò a sfruttare il 100% del potenziale, il risultato non potrà essere che buono, sempre che si riesca ad arrivare dall’altra parte. La concorrenza comunque è agguerrita, specie nella nostra classe, che comprende come detto ben 55 delle 138 imbarcazioni al via. È quella dove c’è più competizione, più bagarre ed è quella che presenta i più grandi nomi della vela internazionale».

In mare da solo

Come definirebbe il fascino della navigazione solitaria? «È probabile che ogni marinaio risponda in modo diverso. Personalmente, penso che la parte solitaria della navigazione sia solo un piccolo frammento dell’intera impresa: almeno l’80% del progetto, e della regata stessa, viene infatti realizzato a terra. Il navigatore, semmai, deve portare a termine l’enorme lavoro fatto da tantissime persone insieme, quindi su di lui c’è una grandissima responsabilità. Dal punto di vista più filosofico, invece, navigare da soli è un’esperienza che mi è piaciuta – e mi ha segnato – già dalla prima volta. Si tratta di qualcosa che mi consente di rimettere al giusto posto molte cose, anche la vita in generale, e che mi fa tornare ad apprezzare le cose semplici e fondamentali, come ad esempio un letto rifatto o una doccia calda. Aiuta a rimettere ordine fra le priorità della vita, e ciò mi ha affascinato fin dall’inizio, e dunque continuo: sono ancora qua».

Oltre al già citato Giovanni Soldini, velista di passaporto svizzero di fama mondiale, da quali altre figure della vela è stato affascinato da ragazzino Alberto Bona? Ce n’è qualcuno che, più di altri, ha fatto in modo che il giovane Alberto si appassionasse così tanto a questa disciplina che non è solo uno sport, ma un autentico modo di intendere la vita? «Conoscere Soldini e diventarne amico è stata una grande esperienza, un bellissimo confronto. Stare ad ascoltarlo mentre racconta la tradizione e la cultura delle regate oceaniche è semplicemente meraviglioso. Lavorare e navigare con lui è stato bellissimo. Altre figure di riferimento, per me, sono state Ambrogio Fogar e il francese Eric Tabarly: entrambi mi hanno ispirato moltissimo».

Sarà possibile seguire l’intera regata di Alberto Bona sul sito www.ibsasailing.com

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