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Il confine estremo del trail

In luglio Matteo Ceresa correrà per 500 chilometri, lungo il perimetro del nostro cantone

15 marzo 2022
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In solitaria. Correndo e basta. Lungo il confine del Cantone Ticino. Dalle strade del Mendrisiotto alle vette della Valle di Blenio, passando dalla Leventina e dalla Valle Maggia, fra creste e sentieri, canali e traverse. 500 chilometri di tracciato, 35’000 metri di dislivello. Il trail runner ticinese Matteo Ceresa partirà a luglio 2022 e percorrerà quello che fu il trail "Tra confine e Cielo", che nel 2002 coinvolse 14 alpinisti per diverse settimane. L’obiettivo è di realizzare il giro in poche manciate di giorni.

Ecco le tre regole per diventare un trail runner estremo. Uno, corri dove gli altri camminano. Due, corri quando gli altri si fermano. Tre, corri dove nessuno osa correre. Bonus: fallo da solo. È pericoloso? Certo. Sono necessarie doti fisiche e mentali d’eccezione? Sicuro! A chi verrebbe in mente, per esempio, di correre sulla cresta che porta in vetta al Basòdino (strapiombo di qua, strapiombo di là. Altitudine 3’000 m)? A Matteo Ceresa. O addirittura chi rischierebbe di salire l’Adula calzando le sole scarpette, e di farlo a passo di corsa, ovviamente? A Matteo Ceresa. Chi potrebbe mai indossare la torcia frontale di notte e poi, in velocità, percorrere la tappa più impegnativa della Via alta della Verzasca? La risposta è sempre la stessa. Il trail running, cioè la corsa in montagna, con Ceresa passa a un livello superiore e ingloba doti alpinistiche e di arrampicata, necessarie per poter superare ciò che, di solito, viene bypassato: le creste. Il paragone con Kilian Jornet è immediato e calzante: come il campione mondiale di questa disciplina, Ceresa sfida i limiti fisici a più livelli, e si spinge laddove pochi, pochissimi, osano andare. E così, dopo aver corso nel 2019 la Via alta della Verzasca, nel 2020 in compagnia di Roberto Delorenzi e Gabriele Sboarina corre in non-stop la Via Idra in 33h34min per 110 chilometri di tracciato. Successivamente Matteo Ceresa deve aver detto a se stesso: "Fatto trenta facciamo trentuno". In effetti, si potrebbe tentare di percorrere in velocità tutta la cresta delle Alpi che confinano con il Ticino, dal Pizzo di Claro verso l’Adula, infilando a catena tutti i 3’000 fra Blenio e Grigioni, virare verso il Gottardo, raggiungere il Rotondo, e poi il Basòdino. Anzi, già che ci siamo: chi ci sta a fare tutto il confine del cantone a corsa da Sud a Nord, passando dalla strada ai sentieri, dal Monte Generoso ai Denti della Vecchia, raggiungere il Gazzirola, il Camoghé e poi via verso il Nord, fare il giro esposto sopra, tornare a Sud e chiudere l’anello? Un folle. Eppure, per compiere imprese straordinarie, occorre essere un po’ folli, fuori dall’ordinario. Ceresa, classe 1982, al secolo giardiniere paesaggista, fuori dall’ordinario lo è di sicuro. «Non sono un trailer professionista», precisa Ceresa; «Non lo faccio di mestiere, e quindi il tempo per allenarmi lo devo ritagliare dopo la giornata di lavoro, quando magari sono già stanco». Eppure, i risultati sono sbalorditivi (vedi box delle gare). Evidentemente non è una disciplina per tutti, almeno a questi livelli, e se con i tre tipps per diventare un trail runner estremo ho scherzato, Ceresa si racconta e ci svela qualche dritta per riuscire a rendere al meglio in questo sport.

Come si raggiungono la sicurezza e la padronanza fisica e mentale per fare quello che fai?

Quello che faccio oggi è il risultato di un modo di essere e di affrontare le cose che ho da sempre. Sono cresciuto in una casa nel bosco, in Capriasca. Per arrivare a casa da bambino dovevo percorrere un sentiero a piedi. Di notte lo facevo con la torcia. Sono abituato al contatto con la natura. Inoltre frequento la montagna da sempre. Conoscere la montagna, sapersi orientare, non solo di giorno, col bel tempo, ma anche in assenza di luce o con la nebbia, è fondamentale per poter fare ciò che faccio. È meraviglioso muoversi con leggerezza in alta montagna, e farlo in solitaria dà una sensazione ancora maggiore di libertà e connessione con quanto sta attorno. L’intensità delle sensazioni è assoluta. Eppure, per quanto stupendo possa essere l’ambiente, in pochi minuti l’atmosfera cambia, ciò che è magnifico diventa ostile. Trovarsi impreparati e non sapere come affrontare un cambio imprevisto di temperatura, di visibilità di percorso può essere pericoloso. Oltre alla conoscenza dell’ambiente alpino e all’esperienza, occorre un allenamento mirato. Una gara o un progetto come questo non si improvvisano, né tanto meno devono assumere i connotati di un’impresa eroica. Per sentirmi sereno in ciò che faccio devo essere consapevole di giocare al di sotto delle mie possibilità, di avere sempre un buon margine di riserva. Non conduco mai le gare allo stremo delle mie forze, né percorro una via alta in velocità al limite delle mie prestazioni fisico-mentali. Il margine di riserva che tengo mi può essere di aiuto in caso d’imprevisto, per non crollare sotto il peso del panico o dello sfinimento.

Di corsa o a passo sostenuto tu percorri anche tratti che molti superano incordati. Non hai mai una sensazione di pericolo?

Pericolo è una parola che ognuno declina secondo la propria percezione. Molto spesso quando chiedo informazioni su uno specifico passaggio di roccia o sulla difficoltà di una zona, fatico a valutare le informazioni che mi vengono date proprio per questo scarto percettivo che varia da persona a persona. Non mi ritengo un temerario, anzi, valuto molto razionalmente i pericoli in cui posso incorrere e quelli che mi si presentano, ma la mia percezione di pericolo non è sovrapponibile a quella per esempio dei miei amici con cui ogni tanto vado in montagna. Per loro ciò che faccio è estremamente pericoloso, mentre la percezione che ne ho io è di assoluto dominio della situazione. Mi sono trovato certamente in alcune situazioni in cui ho avvertito un senso di pericolo. Con il temporale in alta montagna per esempio. Eravamo sopra i duemila metri, un amico e io, e i lampi scendevano a pochi metri da noi, con un rumore assordante. Ho avuto davvero paura, perché eravamo molto esposti e solo una volta raggiunto il bosco ho tirato un sospiro di sollievo. Oppure mi è capitato di dubitare di fronte a una via ferrata. Avevo sbagliato sentiero. Era quasi buio. Non avevo con me una torcia. Mi sono trovato davanti a una via ferrata allestita per effettuare dei lavori in parete. Tornare indietro significava percorrere ancora chilometri e chilometri.

E cosa hai fatto?

Sono sceso. E l’ho fatto perché ho visto come rispondeva il mio organismo. Nei movimenti c’erano fluidità e sicurezza. Riconosco di essere stato avventato.

È possibile allenare il sangue freddo?

Certamente. Io lo faccio. Per evitare di andare in panico di fronte a un imprevisto o a una difficoltà in montagna le strategie sono essenzialmente due. La prima è sperimentare in sicurezza una condizione di difficoltà che potrebbe presentarsi in montagna. Lo fanno molti alpinisti o chi compie imprese particolari. Per esempio dormire con il solo sacco da bivacco all’addiaccio in alta montagna o svolgere un allenamento sotto la pioggia, con la neve, in condizioni che portino fuori dalla zona di comfort. La seconda strategia consiste nell’immaginare tutto quanto di negativo potrebbe succedere e pensare preventivamente a una possibile soluzione. Questo sembra un’ovvietà, ma per esperienza vedo che purtroppo non è così. Incontro persone in montagna che non si sono preparate a sufficienza prima di partire, che non hanno l’abbigliamento adeguato, o l’equipaggiamento necessario, che hanno sottovalutato il percorso, o non hanno pensato a una via di fuga. Buona parte della serenità in corso d’opera la si crea prima di partire, con una corretta pianificazione. Oltre alla preparazione fisica e alla preparazione logistica il sangue freddo può essere aiutato da una buona impostazione mentale. Nel 2018 mi trovavo a fare una gara in Scozia. Il tempo era pessimo. C’erano raffiche di vento con punte fino a 80 chilometri orari, pioggia incessante e a un certo punto, per il freddo, mi sono venuti i crampi. La mia reazione in quella situazione è stata: "Wow! Che vento forte! Bellissimo! E che bello mi sono venuti i crampi!". L’ho pensato davvero. Invece di imprecare o scoraggiarmi ho pensato che era bello correre così, anzi, che aveva senso proprio perché si era scatenato il temporale e il mio corpo cercava di reagire al freddo e alle intemperie. Questo è quello che faccio normalmente. Più sento la fatica e più sorrido e dentro di me penso: "Sì, dai, bello!", "Evviva ho le mani ghiacciate!" e non per sarcasmo, ma per positività. Essere positivo reinquadra la situazione e la rende interessante invece che negativa, inoltre la collega a un piano più vasto rispetto alla contingenza immediata, perché so che superando sfide di questo tipo sarò pronto a sfide maggiori in futuro.

Cosa ti impensierisce di più del progetto di percorrere tutto il confine del cantone?

L’acqua. Ma non nel senso del maltempo. Correrò molto leggero, solamente con una piccola scorta d’acqua. Dovrò quindi far capo ai ruscelli che incontrerò man mano. So che in alcune zone non ci sono corsi d’acqua e che se fa molto caldo alcuni potrebbero prosciugarsi. Inoltre anche se sto attento a dove la prendo, per evitare il più possibile d’incappare in brutte sorprese, c’è sempre la possibilità che contenga batteri in grado di farmi star male. Per esperienza so che può essere terribile. Comunque questo fa parte del gioco. Vedrò di cavarmela.

Fra confine e cielo

Nel 2002 14 alpinisti presero parte a un trail spettacolare denominato "Tra confine e cielo", pianificato su 46 giorni. Partita dal Generoso, la comitiva, seguita dalla Rsi, che poi realizzò un documentario, percorse in cresta tutte le cime che delimitano il confine del Canton Ticino.

A vent’anni di distanza, Matteo Ceresa ripropone il trail, aggiungendovi però la parte sud del cantone, così da percorrere l’intero confine ticinese in ogni suo aspetto orografico.

In modalità tipicamente trail, Ceresa si sposterà unicamente con uno zainetto contenente l’acqua e una giacca leggera. A differenza del trail "Tra confine e cielo", che coinvolse gli alpinisti per più di un mese, Ceresa intende portare a termine il giro in poche manciate di giorni, indicativamente una decina anche se il numero di tappe non verrà stabilito a tavolino, ma deciso in base al meteo del momento. Matteo Ceresa correrà da solo, ma ama la compagnia. Chi volesse condividere con lui quest’esperienza è il benvenuto, sia per percorrere insieme alcuni tratti del tracciato, che per scambiarsi impressioni e sensazioni al termine di ogni tappa, sia per incoraggiarlo o portargli dell’acqua lungo il percorso.

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