
Toro scatenato non c'è più. Jake La Motta, l'ex campione del mondo dei pesi massimi che ispirò un film interpretato da Robert de Niro, è morto. La Motta aveva 95 anni e sarebbe morto per complicazioni legale a una polmonite.
Per i più giovani avrà per sempre la faccia di De Niro, quello da oscar in Toro scatenato, l'indimenticabile film di Martin Scorsese. Eppure La Motta non fu né il pugile più potente, né il più tecnico, né il più veloce, né il più bello a vedersi. Ma fu sicuramente il più coraggioso. Il simbolo, lui figlio di un emigrante siciliano che dopo gli anni della Grande Depressione incarnava la voglia di riscatto degli italo-americano del Bronx, la spinta a farsi strada nella vita. Una fama la sua costruita a suon di cazzotti, eccessi e sregolatezze. La sua carriera da professionista durò 14 anni, combatté 102 volte (un record di 83 vittorie, 30 delle quali per kappaò, quattro pareggi e 19 sconfitte).
I quattro duelli con il croato Zivic, fra il 1943 e il 1944, sono passati alla storia come i match più scorretti della storia. Sui match di La Motta aleggiò spesso lo spettro della combine. La prima volta nel 1947 dopo il k.o. tecnico al quarto round contro Bill Fox: ci fu anche un'inchiesta che lo giudicò colpevole, tanto che gli venne perfino ritirata la licenza. Ma quando tornò a combattere ritrovò la vittoria, tanto da meritarsi finalmente la sua chance mondiale contro Cerdan. L'incontro avvenne il 16 giugno 1949 a Detroit, La Motta vinse il titolo contro tutti i pronostici. Il francese giurò che si sarebbe ripreso il titolo, ma prima un rinvio per un infortunio dell'avversario italo-americano poi il tragico incidente aereo in cui perse la vita gli negarono la rivincita.
Uomo dal carattere impossibile, sempre destinato a far parlare di sé, La Motta chiuse con la boxe nel 1954, con una sconfitta ai punti per mano di Billy Kilgore. Appesi i guantoni al chiodo fu chiamato spesso in show televisivi e spettacoli di intrattenimento, come il suo amico fraterno Rocky Graziano. E riuscì ad essere grande protagonista anche fuori dal ring. Si sposò sei volte, non ebbe mai un buon rapporto con i suoi manager, e nel 1961 ammise finalmente di avere perduto di proposito con Billy Fox, perché solo perdendo gli sarebbe stata data la chance di battersi per il titolo. In verità Jake arrivò al campionato del mondo quando Mike Capriano, uomo di Frankie Garbo (il gangster che controllava la boxe di allora) divenne suo manager. Finì anche in prigione per una denuncia di violenza ad una minorenne. Una volta disse: «Sono stato fortunato perché sopra il ring non mi sono mai fatto male, e perché tante donne mi hanno voluto bene». In una vita da film, è proprio il caso di dirlo