Il disagio psichico acuto può essere preso a carico senza un ricovero in una clinica psichiatrica. L’esperienza di Home treatment di Bellinzona e Valli
Negli ultimi anni la presa a carico del disagio psichico e il trattamento delle malattie mentali sono sempre più orientati verso un approccio territoriale, e ciò affinché la cura possa avvenire nel contesto domiciliare e nei luoghi di vita della persona e la crisi psichiatrica possa essere fronteggiata e risolta proprio là dove si presenta.
Un’offerta di cure specializzate, come detto, direttamente a domicilio, per persone che si trovano ad affrontare una fase acuta della malattia, un’assistenza che da un lato permette di alleggerire la centralità dei trattamenti ospedalieri e, dall’altro, favorisce la libertà personale e l’individualità, nel proprio ambiente sociale, a contatto diretto con le famiglie, e con una rete di professionisti della salute che lavorano sul territorio, capace di garantire continuità assistenziale personalizzata. Il tutto per migliorare la qualità di vita dell’utente, valorizzare il ruolo dei parenti quali caregiver, fornire educazione sanitaria e psicoeducazione e sviluppare con utente e famiglia strategie per una rapida ripresa e prevenzione delle ricadute.
Ad avvalorare la valenza di questa proposta c’è l’esperienza di questi anni fatta da Home treatment (HT), della Clinica Psichiatrica Cantonale (CPC) dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC), che dimostra, grazie al suo successo, che questo trattamento sia altrettanto valido rispetto a quello di una clinica.
Il progetto, voluto dall’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC) e nato nell’aprile del 2016 come progetto pilota, è divenuto parte integrante dell’offerta della CPC ed è attivo attualmente nella regione di Bellinzona e Valli. Home treatment, come anticipato, vuole essere una proposta innovativa di cura alla persona affetta da disagio psichico acuto direttamente al suo domicilio, come alternativa all’ospedalizzazione. La persona, invece che essere ricoverata in un reparto della CPC, può accedere, dopo valutazione medico-infermieristica, ad una presa a carico in Home treatment direttamente presso la propria residenza; in pratica la persona continua a trascorrere le sue giornate a casa ricevendo le cure dal team specialistico che quotidianamente va in visita. È rivolto a persone maggiorenni che soffrono di una patologia psichiatrica importante e che accettano volontariamente di essere seguite al proprio domicilio, rimanendo così nel loro ambiente sociale e familiare. L’ammissione avviene esclusivamente su base volontaria e con il consenso delle persone conviventi. La presa a carico è effettuata con visite quotidiane fino alla risoluzione della crisi.
L’équipe è composta da un team multiprofessionale suddiviso in un medico psichiatra caposervizio, un medico assistente, otto infermieri specializzati in salute mentale e psichiatria, un infermiere insegnante assistente, una psicologa, un assistente sociale e un coordinatore.
Il servizio è attivo 24 ore su 24 (con un picchetto notturno da parte degli stessi operatori dell’équipe), 7 giorni su 7, e propone un piano terapeutico con una presa a carico multidisciplinare. All’équipe è richiesta una forte coesione, infatti ognuno è chiamato ad intervenire con le proprie competenze specifiche, in un clima di collaborazione e rispetto. Le figure professionali svolgono un ruolo propositivo, inevitabilmente confrontate con richieste stimolanti sul piano delle competenze professionali e interpersonali, implicate nel coinvolgimento, nell’educazione e nell’attivazione dei familiari, nella presa a carico della persona e, da ultimo, nella strutturazione di una rete che la supporti anche dopo la dimissione.
Gli interventi offerti sono individualizzati e condivisi con le persone interessate; le visite quotidiane offrono colloqui medico-infermieristici ad utenti e congiunti, controlli ed esami somatici, prescrizioni, somministrazioni farmacologiche e valutazioni delle terapie, consulenze con assistenti sociali, pianificazioni di programmi di dimissione condivisi con i curanti di riferimento, e via dicendo.
Il Ticino spesso non brilla per essere un cantone all’avanguardia. E non si può dire che la proposta Home treatment sia rivoluzionaria perché in altre realtà esiste già da tempo. Certo è, però, che HT è un progetto da sostenere, da incentivare e da implementare. HT funziona, funziona perché ha una équipe appassionata e competente, che entra nelle case in punta di piedi e con il cuore in mano. Chi vive un momento di malessere e ha la possibilità di curarsi in casa propria lo apprezza e guarisce più velocemente. Poter sostenere le famiglie in un percorso di malattia e di guarigione nell’ambito dei disturbi psichici è fondamentale, e poter apprendere, tutti insieme, come gestire le situazioni difficili ha un valore inestimabile. La malattia psichica riguarda tutti, ma davvero tutti, ed il poter condividere questo percorso tortuoso alleggerisce il carico delle famiglie e crea una situazione più protettiva per il paziente. Come Pro Mente Sana attendiamo con desiderio l’ampliamento del servizio Home treatment anche agli altri distretti del cantone. Ora potrebbe essere il turno del Luganese… siamo fiduciosi/e.
Se avete domande, necessitate consigli, volete informazioni sui corsi di recovery o sulla settimana biografica potete contattare direttamente la Fondazione Pro Mente Sana (www.promentesana.ch), scrivendo a contatto@promentesana.ch o telefonando allo 091 646 83 49.
L’esperienza dei primi anni di Home treatment e le diverse situazioni di cura hanno fornito all’équipe costanti spunti di riflessione e hanno arricchito il potenziale dei professionisti coinvolti. Per meglio far comprendere l’operato del team, riportiamo, di seguito, una testimonianza, quanto più veritiera, a descrizione di un’ipotetica giornata tipo che gli operatori vivono con i loro utenti. I nomi utilizzati sono di fantasia, così come le storie che vengono narrate ed i relativi riferimenti.
La prima visita della giornata, in compagnia del medico caposervizio, è per Agata, una ragazza di 28 anni che tre mesi fa ha scoperto di essere incinta. Se, inizialmente, questa notizia l’aveva riempita di gioia, ad oggi le provoca un’ansia ingravescente cui non riesce a dare spiegazione, le ha tolto sonno, appetito e voglia di vivere. Dalla sua curante siamo stati informati che Agata nella sua vita ha vissuto molti eventi traumatici.
È minuta con occhi grandi e tristi. Ci parla delle sue difficoltà, si mette a piangere e se ne scusa, quasi fosse una colpa essere tristi in questa circostanza. La rassicuriamo che non c’è nulla di cui vergognarsi, spiegandole che la depressione è una malattia in tutto e per tutto, dalla quale è possibile uscire.
Le spieghiamo lo scopo di questo primo incontro presentandole il nostro modus operandi e valutando insieme a lei come poterla aiutare in questo momento tanto delicato, senza trasferirla in una clinica.
Parliamo della sua vita e delle difficoltà che sta attraversando. Le illustriamo cosa potremmo fare per lei proponendole una presa a carico individualizzata fino alla risoluzione della crisi. Rassicuriamo Agata ed il suo compagno esponendo possibili cause, sintomi, informazioni sulla malattia e strategie a supporto.
Concordiamo insieme che le nostre visite saranno quotidiane, due volte al giorno, oltre a renderci disponibili in caso di necessità tutti i giorni, compresa la notte, fornendo loro i numeri di telefono a cui fare riferimento. Ci congediamo, pianificando il prossimo incontro per le ore 18.00.
Da sola mi reco da Giulio, 20 anni, da sei mesi ha interrotto gli studi a causa di un malessere psichico che lo limita nelle relazioni sociali. Apre la porta la madre, cordiale seppur un po’ nervosa, si scusa in quanto il figlio non si è ancora alzato e, nell’attesa, mi offre un caffè. Ne approfitto per fare conoscenza con la signora e percepisco da subito le difficoltà della donna nel gestire questa situazione. Mi parla del figlio, dice che prima era un giovane estroverso, sportivo e studioso, ma che in questo ultimo periodo ha radicalmente mutato le sue abitudini, è sempre più schivo, ritirato in camera e privo di qualsiasi iniziativa. Ha chiesto aiuto al medico di famiglia che l’ha indirizzata al nostro servizio.
Giulio ci raggiunge, ancora in pigiama, capelli arruffati, sguardo sospettoso e guardingo. Esordisce dicendo che non ha troppa voglia di parlare in quanto ha dormito poco e male. Cerco di approfondire le difficoltà legate al sonno e se ha assunto la terapia farmacologica prescritta. Mi risponde di essersene dimenticato. Gli spiego che il farmaco in questione ha lo scopo di diminuire l’angoscia aiutandolo a ripristinare un sonno ristoratore indispensabile per stare meglio. Seppur un po’ scettico accetta la mia proposta di spostare l’orario della visita serale in concomitanza con l’assunzione della terapia. Al termine del colloquio la madre, accompagnandomi alla porta, chiede come poter essere d’aiuto al figlio, mi pone domande legate alla malattia in particolare ai comportamenti che sta osservando nel figlio. La rassicuro dandole informazioni e giustificazioni legate alla patologia ma anche alla possibile risoluzione attraverso una presa di coscienza del ragazzo che, consapevole delle sue risorse, potrà gestire la propria fragilità e ritrovare una qualità di vita soddisfacente.
Per l’ultimo incontro della giornata mi attende Anna, 40 anni, insegnante e madre divorziata di un ragazzo di 11 anni. Mi accoglie regalandomi dei fiori di giardino da lei coltivati, parla velocemente in un italiano forbito, indossa una vestaglia sgargiante e dei gioielli appariscenti, mi informa che abbiamo tutto il tempo in quanto il figlio è con i nonni per le vacanze estive. Mi invita a pranzo, in cucina la tavola è imbandita di molte pietanze preparate nella notte. Accetto l’invito, con lo scopo di contenere il suo comportamento e la sua esuberanza. Pranzando vengo a conoscenza della sua storia familiare e professionale, mi racconta che diversi uomini oltre al compagno la stanno corteggiando, ne è lusingata e al tempo stesso indecisa ed insicura in merito alle proposte che sta ricevendo; appare evidente in lei una certa ansia, che in parte riconosce definendosi in balia di troppe emozioni destabilizzanti. Le illustro i possibili rischi e le conseguenze di eventuali scelte dettate dall’onda emotiva e dalla sua ambivalenza, chiarisco con lei i sentimenti contrastanti che la pervadono e le tecniche pratiche di gestione dell’ansia e gli elementi farmacologici a supporto. Al termine della visita assume i medicamenti concordati e definiamo l’orario del prossimo incontro.
Rientro in sede e, insieme al medico, illustro il nuovo caso ai colleghi, riportando le nostre impressioni e gli interventi immaginati, definendo poi un piano di cura condiviso. Informo poi sul decorso degli altri utenti visitati da cui nasce una riflessione comune stimolante e arricchente professionalmente. Concordiamo quindi di coinvolgere alcuni servizi territoriali al fine di costruire una rete a supporto una volta risolta la fase acuta e terminato il ricovero in HT.
Come professionisti ci sentiamo di affermare la validità di questa proposta innovativa che la nostra struttura offre alla popolazione del Bellinzonese e Valli, con la speranza che tale opportunità possa essere ampliata a tutti i distretti del Canton Ticino.
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