L'editoriale

Il razzismo, batterlo in rete!

26 giugno 2015
|

Il razzismo, sorvegliato speciale, tiene banco anche da noi. Per fortuna lontano anni luce da quanto successo di recente negli Usa, dove le nuove frontiere infrante hanno persino costretto il presidente Obama a reagire pubblicamente. Da noi non siamo infatti all’emergenza: la scorsa settimana la ‘rete di consulenza per le vittime del razzismo’ ha reso noto che il numero di episodi di razzismo segnalati in Svizzera è rimasto sostanzialmente stabile. È però aumentata l’intolleranza verso le persone di colore, con forme di discriminazione non verbale. In questi casi si usano piuttosto la gestualità, la mimica, i rumori offensivi, il mobbing e qualche attacco alla persona fisica per offendere. Insomma, stiamo meglio che altrove (anche se il Ticino non è stato incluso nell’indagine), ma non possiamo abbassare la guardia. Anzi, la dobbiamo alzare. Le paure davanti alla forte pressione migratoria da sud, cavalcate ad hoc, rischiano infatti di fare da detonatore.
In proposito ieri abbiamo registrato un nuovo dato, per certi aspetti confortante e per altri meno. La Commissione federale sul razzismo (Cfr, che per i suoi 20 anni ha lanciato una nuova campagna), ha ribadito che il razzismo non è particolarmente aumentato in Svizzera. Ma c’è un ma. Grazie alle nuove tecnologie, che tutto permettono e tutto amplificano, questa gramigna si alimenta di nuovo concime digitale, oltretutto favorita dall’anonimato, di chi posta frasi indecenti. Ecco dunque che la Cfr, accortasi del problema, ha deciso di lanciare una campagna (si chiama ‘Svizzera variopinta’) rivolta ai giovani.
Un’idea che ci pare buona. La lotta corpo a corpo la si farà sul campo prediletto dai giovani, ovvero la rete. Per cercare di intercettarli online nei contatti fra loro coetanei, con l’obiettivo di difendere e diffondere una cultura del dibattito.
Questo valore fondamentale – la cultura del dibattito – sino a ieri veniva tramandato da una generazione all’altra: attraverso esempi di dialogo civile in famiglia, a scuola, sul mondo del lavoro. Certo, anche nel passato prossimo, già ci sono stati i discorsi da (e limitati alla) bettola, che potevano sfociare in disprezzo e odio razziale. In quello remoto poi abbiamo visto di tutto e di più e orrendo. Ma la rete oggi è potente, molto più potente e mette in contatto tutti, soprattutto i giovanissimi (anche i più beceri), permettendo, grazie alle maschere dei nickname, di veicolare anche pattume razzista come se nulla fosse. Anzi, unendolo al vanto di avere certe posizioni radicali e offensive, perché ‘io sono io, e loro’ – nella migliore delle ipotesi – ‘che si arrangino’. Insomma, oggi va per la maggiore una cultura individualista anche fra i più giovani (un tempo invece più sognatori e attratti dall’altruismo e dalla solidarietà più tipica della sinistra). È quindi importante far capire alle nuove generazioni che la Svizzera è nata e cresciuta grazie alla solidarietà e all’inclusione di culture anche molto diverse fra loro. Se così non fosse stato la Romandia, come voleva Gheddafi, sarebbe già andata da secoli alla Francia, la Svizzera tedesca alla Germania e noi all’Italia. Anche le alte percentuali di stranieri presenti e di naturalizzati dicono bene quanto forte è stato sino ad ora il valore della nostra cultura dell’accoglienza. E il valore che queste persone hanno portato e dato al nostro Paese.
È quindi importante che si occupino anche spazi della rete, per spiegare che la cultura dell’accoglienza, dell’integrazione e del dialogo è fondamentale. Un tentativo intelligente per non permettere al becerume, che non ha neppure il coraggio di mostrare il proprio viso, di imperversare in rete. Ci voleva!

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔