L'analisi

Zero + zero per ridare fiducia al Ticino

Per la prima volta né contagi né vittime da coronavirus, si può cominciare a respirare

La partita non si è conclusa. La pandemia con il suo carico di drammi, angosce, e il peso delle incertezze mediche e sociali, rimane in agguato. Ma quegli zero contagi registrati per la prima volta in Ticino accanto a un altro zero, quello dei decessi, consentono finalmente un po’ di vivido ottimismo. 

Il governo, nell’intelligente progetto coordinato con BancaStato, si mostra proattivo: nel momento più opportuno si tende una mano al turismo ticinese. Le scuole hanno riaperto tra difficoltà e polemiche: ma era corretto procedere per trovare il giusto equilibrio tra rischi legati al Covid-19 e quelli altrettanto temibili, spesso ignorati dagli oppositori, legati alle patologie psichiatriche e sociali dell’isolamento.

Decisione giusta e al passo con l’evoluzione epidemiologica generale. Anche se è prematuro pasteggiare a champagne. Gli allentamenti sono gravidi di rischi come sembra indicare qualche dato dalla Germania dove il tasso di contagio (R0) è salito, seppur lievemente sopra 1, la soglia oltre la quale la decrescita del Covid-19 si ferma e la curva subisce una perniciosa inversione.

In Svizzera è la task-force federale a monitorare il numero medio di infezioni secondarie, il dato oggi più significativo per verificare l’andamento della pandemia. Ottime notizie, in contrasto con quelle tedesche, giungono da Paesi quali Danimarca e Norvegia dove la curva dei contagi è in netto calo: in quest’ultimo Paese dove asili e scuole elementari sono aperti da tre settimane, il Covid-19 continua ad arretrare. Il trend è comunque globalmente positivo un po’ ovunque: in una settimana 31% di contagi in meno in Spagna, 21% in Italia e addirittura 48% nel nostro Paese. L’America paga invece a caro prezzo una politica condotta a colpi di farneticazioni imbottite di stravaganti vaticini e appare oggi tra i Paesi più in difficoltà.

Il virus appare ancora in buona parte misterioso, e le contrastanti e a volte avventate affermazioni dei virologi ed epidemiologi non aiutano. Ma i dati statistici cominciano a fornirci informazioni che consentono di gestire meglio il deconfinamento. In Svizzera l’età media delle persone decedute è di 84 anni; mentre il 97% delle vittime (la più giovane di 31 anni, la più anziana di 108) soffriva di patologie pregresse, in primis l’ipertensione arteriosa seguita da patologie cardiovascolari e diabete.

Nessuno è ancora in grado di sciogliere l’incognita su un’eventuale seconda ondata: le previsioni dello statunitense Centers for Disease Control and Prevention e dell’Istituto Norvegese di Salute Pubblica si situano agli antipodi: futuro sul quale si allungano nere ombre secondo quanto ipotizzato oltre oceano; molto rassicurante invece il panorama disegnato a Oslo dove si esclude un peggioramento epidemiologico. I dati ci dovrebbero pure ricordare che, senza dover ritornare indietro di un secolo alla micidiale “spagnola”, solo 50 anni fa la grippe di Hong Kong, finita nel dimenticatoio, fece un milione di morti, tre volte di più di quanti ne ha fatti finora la pandemia da coronavirus. Come dire che il pericolo globale può essere affrontato anche con la razionalità dei numeri e con quelle misure inedite di prudenza con le quai abbiamo già imparato a convivere.

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