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La commedia degli equivoci (di serie B) della politica ticinese

Le finanze cantonali sono legate da un doppio nodo: ma non esiste alcun motivo oggettivo che imponga al Cantone di dover indossare questi corsetti

In sintesi:
  • La politica, a parole, appare disposta a incarnare il suo ruolo
  • Ma a contare sono i fatti
  • La gente, che non è stupida, comincia a spazientirsi
Sono ormai in molti a urlare senza ritegno ‘il re è nudo’
2 dicembre 2023
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Le finanze cantonali sono legate da un doppio nodo: da un lato c’è il decreto legislativo concernente il pareggio del conto economico entro il 31 dicembre 2025 con misure di contenimento della spesa e senza riversamento di oneri sui Comuni (anche noto come ‘Decreto Morisoli’). Dall’altro c’è quello un po’ più intricato relativo al meccanismo costituzionale del Freno al disavanzo, che agisce su due livelli: a preventivo sul risultato di esercizio, prevedendo una soglia del 4% dei ricavi totali quale limite massimo di disavanzo consentito; a consuntivo invece sul disavanzo cumulato, con una soglia del 9% dei ricavi totali quale limite massimo del conto di compensazione. Il mancato rispetto di questi vincoli di bilancio inseriti nella Costituzione cantonale fa scattare degli “automatismi” che obbligano l’esecutivo a prevedere delle misure di riequilibrio finanziario.

In effetti, sono queste le leggi che il governo ha evocato quando ha provato a giustificare i tagli contenuti nella manovra di rientro presentata lo scorso mese di ottobre. “Ma se il Consiglio di Stato ritiene che queste leggi limitino il suo raggio d’azione e lo costringano a varare misure antisociali, chieda allora al parlamento di modificare quelle norme. Altrimenti manca di coraggio”, aveva suggerito a caldo Giuseppe Sergi, coordinatore dell’Mps. La conclusione a cui giunge Sergi è spiazzante nella sua semplicità: non esiste alcun motivo oggettivo che imponga al Cantone di dover indossare questi corsetti. È solo una questione di volontà politica.

Una politica che, a parole, appare disposta a incarnare il suo ruolo. E cioè a riflettere, a discutere e a prendere le “migliori” decisioni tenuto conto del contesto, senza soccombere a priori davanti a certi vincoli autoimposti che invalidano completamente la sua ragion di essere. In una tale direzione – sensata – sembrerebbero andare infatti le varie frasi altisonanti degli scorsi giorni: “Non sarebbe un dramma se si votasse un preventivo con un deficit un po’ maggiore di quello che si è pensato” (Dadò, Centro); “molte cose sono da rivedere” (Speziali, Plr); “anche il Nano diceva che ogni tanto indebitarsi va bene” (Caverzasio, Lega); “non riconoscere il rincaro è una porcheria” (Marchesi, Udc). Ma a contare sono i fatti: poco dopo aver rimandato a gennaio la discussione del Preventivo 2024 in parlamento, la maggioranza commissionale in Gestione (Lega-Udc-Plr a favore, Centro astenuto, Verdi e Ps contrari) ha avuto il “coraggio” di sottoscrivere il rapporto della riforma tributaria che prevede una riduzione delle aliquote massime – dal 15 al 12% – sui redditi delle persone fisiche molto ricche. E ha anche avallato il taglio lineare dell’1,66% di tutte le aliquote dell’imposta sul reddito per compensare il ripristino del moltiplicatore cantonale al 100%, andando in questo modo a sottrarre importanti risorse ai Comuni.

Tutto il teatro politico di queste settimane assomiglia sempre di più a una commedia degli equivoci, ma di serie B, in cui il pubblico – la cittadinanza – osserva attonito le contorsioni degli attori sul palco che continuano a recitare come se niente fosse. Il fatto è che la gente, che non è stupida, comincia a spazientirsi e sono ormai in molti a urlare senza ritegno “il re è nudo”: quando è così il più delle volte lo spettacolo finisce male.

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