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Seggio vacante agli Stati, una scelta indifendibile

Non organizzare l'elezione suppletiva è una decisione meramente politica, ispirata da interessi e strategie dei partiti. Se Carobbio si fosse dimessa...

In sintesi:
  • La legge cantonale sull’esercizio dei diritti politici è chiara sul principio
  • Una votazione a breve avrebbe rischiato di far saltare equilibri interni e incrinare alleanze
  • Il Consiglio di Stato ha pure definito la ripartizione dei dipartimenti
Il nuovo Consiglio di Stato non ha rispettato la legge
(Ti-Press)
7 aprile 2023
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La legge cantonale sull’esercizio dei diritti politici è chiara sul principio. All’articolo 60 afferma che “nel caso di vacanza in una carica con elezione con il sistema maggioritario, il Consiglio di Stato o, nelle elezioni comunali, il Municipio indice un’elezione complementare”. E all’articolo 73, primo capoverso, ricorda che “i deputati al Consiglio degli Stati sono eletti dal popolo ogni quattro anni con il sistema maggioritario”. Dunque avendo rinunciato alle elezioni suppletive per la designazione del o della subentrante a Berna della socialista Marina Carobbio, entrata nell’esecutivo ticinese con il rinnovo dei poteri cantonali dello scorso weekend, il nuovo Consiglio di Stato sembra non aver rispettato la legge. E lo ha fatto con una decisione presa in occasione della sua seduta insediativa. Cominciamo bene, verrebbe da dire. Una decisione senza nessuna conseguenza perlomeno d’ordine giuridico? Forse no, ma forse anche sì. Perché quanto stabilito ieri dal governo potrebbe essere impugnato direttamente davanti al Tribunale federale.

Torniamo all’attualità. Rammentato ciò che la legge sancisce, quella di non organizzare le suppletive per riempire uno dei due seggi ticinesi alla Camera dei Cantoni è stata una scelta meramente politica, ispirata, riteniamo, da interessi e strategie dei partiti, soprattutto di quelli rappresentati in governo. Per i quali una votazione anzitempo per gli Stati avrebbe rischiato di far saltare equilibri interni e incrinare alleanze. Alla faccia dei diritti popolari.

In ogni caso non ci resta che ribadire quello che abbiamo scritto il 16 dicembre dello scorso anno: se Marina Carobbio, una volta ufficializzata la propria candidatura – blindata – per il governo cantonale, avesse rassegnato subito le dimissioni da consigliera agli Stati, non ci saremmo trovati in questa situazione istituzionalmente e politicamente imbarazzante e ci sarebbe stato tutto il tempo per organizzare le suppletive senza ‘sovrapposizioni’ con la procedura per le Federali (ordinarie) del prossimo ottobre.

Non indire l’elezione complementare è stata sì la decisione più attesa ma non l’unica del nuovo governo. Ieri il Consiglio di Stato ha pure definito la ripartizione dei dipartimenti. Ripartizione che vede i quattro uscenti riconfermati alla testa dei medesimi dipartimenti guidati durante la legislatura appena conclusa. L’ipotesi ‘arrocco’ Dss/Decs tra Raffaele De Rosa e la new entry Carobbio, ipotesi parecchio gettonata alla vigilia, non si è quindi concretizzata. Ma De Rosa lo voleva il Decs, sì o no? Certe voci affermano che l’altolà sia arrivato dai vertici del suo partito, i quali avrebbero reso attento il direttore del Dss su quanto fosse più saggio attendere altri quattro anni per poi provare a riprendere il Dipartimento del territorio, vecchia fiamma popolare democratica.

O sarà che i quattro consiglieri di Stato riconfermati, con un occhio sulla manovra di rientro e con l’altro sull’avvertimento di inizio marzo del democentrista Paolo Pamini (“Sulla sinistra del governo il cambiamento ci sarà eccome, perché si sostituirà un socialdemocratico moderato con una socialista proveniente dalle ali più profilate”), avranno preferito tenere “buona” l’ormai ex senatrice affidandole il Decs, area che probabilmente verrà meno colpita dai tagli rispetto a Sanità e socialità? Staremo a vedere. Nel frattempo, in questo scenario di pseudo status quo, sarà compito di Carobbio dimostrare se Pamini aveva ragione o meno.

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