laR+ IL COMMENTO

Degrado non degrado

Tra i primi dev’essere stato il tessuto non tessuto. E avanti così fino a quel che non sembra degrado, ma lo è. Nelle cose e nelle parole

In sintesi:
  • Cose che non lo sono
  • Persone che forse sì, forse no
(Wikipedia)
19 febbraio 2023
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Tra i primi dev’essere stato il tessuto non tessuto. Le cose che essendo qualcosa sono qualcos’altro. O sono solo qualcos’altro, non battezzato per pigrizia. Non posso chiamarlo tessuto, pensa il pratico neo-neologista, come posso chiamare invece la seta, che è un tessuto, o il cotone. Cotone e seta, lino, hanno un nome proprio che posso usare per designarli. Con questa specie di stoffa appena inventata, invece...

Da qui la geniale un po’ ingombrante scorciatoia. E da questo malintenzionato che è diventato "il precedente" ("si è creato il precedente"), altre cose sono qualcosa e non lo sono: il sapone non sapone, la carne non carne. Sai bene che quel "non" ha ragioni chimiche. Quel che sta prima del "non" è naturale, ciò che sta dopo no. Non sai bene però in che campo ti ritrovi, in questo discorso: se del linguaggio o in quello dell’inerzia, della legge del minimo sforzo, dell’antica arte del cambiare il nome alle cose per non cambiar le cose. Vizio mai innocuo.

Approfitterò del comodo uso linguistico – al quale darà il suo assenso, fra poco, il più dei dizionari della lingua italiana dopo lo Zingarelli che gliel’avrà già dato – per descrivere la mia giornata, a scopo esemplificativo. Mi sono alzato alle 6 non 6, per dormire 5 minuti in più. Purtroppo sarà un sabato non sabato: lavoro arretrato che non posso rimandare. Ma siccome il mio lavoro mi piace, anche quando è troppo, in fondo è un lavoro non lavoro. Ho dovuto prendere una tazza di latte non latte perché il latte era finito, con un bel po’ di caffè caffè. Ho scorso i soliti tre quotidiani non quotidiani sullo schermo del tablet, troppo rapidamente anche oggi. Rimproverandomi non rimproverandomi, perché ci casco sempre ma non intendo biasimarmi fin dalle sette di mattina, esco di casa e mi avvio verso il centro. L’aria è tiepida, il sole spunta da una nuvola per entrare in quella vicina. Sarà una bella giornata di inverno non inverno, quasi primavera. Ne godo e non ne godo perché per febbraio, dicono, non è normale. In bilico sul marciapiede non marciapiede per sentirmi giovane e perché è largo venti centimetri, infilo la via che porta al corso della città. Alla fine della strada c’è la bella enoteca in cui mi riprometto di entrare: voglio prendere una grappa grappa per mio fratello (e un cognac cognac per noi). Mi fa sempre bei regali e io mi sento in colpa. A Natale mi vedo arrivare uno smagliante avvitatore svitatore. Per il compleanno, stanco di vedermi con un telefonino telefonino e basta, per telefonare, mi ha mandato un vero telefono non telefono. E io non so mandargli che regali non regali: penne, sciarpe, portachiavi. Insomma, arrivo in biblioteca e leggo e non leggo perché c’è più vocio del solito, decido di arrendermi. Mi aggiro nella saletta dei gialli, sorseggio un tè non tè sfogliando il ‘Corriere della Sera’ non ‘Corriere della Sera’ (da quando non lo legge più papà, calcolo, trent’anni). Lascio la biblioteca sperando nel pomeriggio. Torno a casa per una via diversa su cui incontro molti animali non umani, come nell’altra, tutti cani.

Per fortuna nel pomeriggio riesco a lavorare. Solo un incidente di percorso ma poca cosa. Un’impiegata riceve i tre libri che restituisco, fissando lo schermo del computer e parlando al telefono. Le chiedo un altro libro e sembra che ci sia. Puntualizzo non puntualizzo, a sussurri ben scanditi, che dev’essere della tale collana della tale casa editrice, è importante. Mi fa cenno di sì, continuando a parlare, e manda a prendere il libro. Che è un altro. C’era e non c’era evidentemente. Mi dice, in italiano non italiano, che c’è solo quello e nella stessa lingua mi chiede se voglio prenderlo comunque. Nascondo il "no" in un sorriso non sorriso cui do il mandato di saluto.

La sera il solito solito, per fortuna. Ceniamo, parliamo. Continuiamo in sala guardando un mezzo giallo. E a letto presto anche se domani è domenica. Spengo la lampada e ripenso a questa giornata in bilico. Ognuno vuol essere qualcos’altro, penso mentre cerco di non prender sonno. Anche le cose non vogliono essere più sé stesse? Non vogliamo essere ciò che siamo per inerzia o indolenza – essere qualcosa richiede, oltre l’impegno, sapere chi sei –, per diseducazione o malagrazia, per sciatteria. Riguardo alle cose, alle strade, alle città – oscenità quarantennali disegnate su facciate degli anni 50, aiole non aiole – se non sono ciò che dovrebbero essere, possiamo sempre dire che lo sono. Se quel che non va non si può dissimulare, dissimuliamone la superficie. Ed eccoci nel degrado non degrado, fino al collo.

Quel che non sembra degrado, ma lo è. Nelle cose e nelle parole. Quanto alle persone: il degrado delle parole è degrado del pensiero. Il degrado del pensiero è degrado dei sentimenti e delle emozioni. Il che fa il degrado delle relazioni.

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