laR+ DISTRUZIONI PER L’USO

Partire da Arbasino per spiegare Renzi (o almeno provarci)

Non è che certe rivendicazioni del Bomba siano sbagliate, anzi. Il problema è che quel bischero si crede Gesù

Talora brillante, spesso suicida (Keystone)
16 gennaio 2021
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“C’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di brillante promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro”. È stato un geniale Linneo della vita pubblica italiana, Alberto Arbasino, tale che riesce difficile a chiunque fraintendere in quale casella di questa nomenclatura binomiale ricada oggi Matteo Renzi.

Eppure è da ascrivere ai suoi primi due anni al governo l’ultima fase riformista in Italia. L’idea che il mercato del lavoro non potesse più essere spezzato tra vecchi ipergarantiti e giovani alla canna del gas; il superamento del bicameralismo perfetto, ormai ridotto a un’anonima sequestri legislativa; la spinta per quel po’ di progressismo sociale senza il quale l’Italia sarebbe ancora ferma ai concordati col Vaticano: tutte cose che meritavano quantomeno un po’ di attenzione. Quando i falsi nipoti dei partigiani, la fronda più impolverata del Pd e l’estrema destra fecero comunella per affossarlo, si sarebbe dovuto capire che non aveva tutti i torti.

È anche vero che sono condivisibili molte delle critiche mosse dal ‘Bomba’ al Recovery Plan, il fondo generosamente finanziato dall’Europa per rilanciare l’Italia colpita dalla pandemia. Si tratta di una lunghissima supercazzola che straparla di green economy, digitalizzazione e pari opportunità, scritta per dare soldi a pioggia e schivare qualsiasi riforma, e prima o poi a Bruxelles se ne accorgeranno.

È altrettanto inconcepibile l’opposizione sovranista dei grillini al Meccanismo europeo di stabilità, ovvero a quello strumento che permette all’Italia di prendere soldi in prestito a tassi negativi, invece di emettere obbligazioni che la scarsa credibilità del Paese rende molto più costose da onorare. (Lo dico per chi pensa che lo ‘spread’ sia un complotto contro le economie mediterranee, e non la triste constatazione della malagestione che le affligge). Inammissibile era anche l’idea che a gestire l’erogazione dei fondi fosse un’ineffabile task-force – ma come suona bene l’inglese – sottratta al controllo del legislativo e di gran parte del governo.

Non è neppure sbagliato, in linea di principio, sfidare l’esecutivo anche in piena emergenza, perfino nel merito dell’emergenza stessa: in Svizzera si è scelta la linea opposta, e guarda che bei risultati. Né è molto sensata la surreale divisione tra regioni, paeselli e zone colorate messa in piedi da Conte, che in quanto figlio dei grillini ne rabbercia l’imbarazzante inettitudine nel governare qualsiasi cosa, fosse solo un condominio.

Però è anche vero che molte osservazioni mosse dai renziani sono state accolte nella riscrittura del piano di rilancio. E che qualcosa in più si sarebbe potuto ottenere parlandosi dietro le quinte, invece di consegnare il dialogo agli sceneggiatori di Beautiful che scrivono sui giornali italiani (la cui quantità di pagine politiche, spesso piene di morbosi pettegolezzi, travalica di gran lunga qualsiasi omologo europeo).

Poi è sempre lì, che cade Renzi: parte da giuste osservazioni, ma se le racconta allo specchio, come un bischero con l’ego gonfiato dalla quinta grappa. Pretende di farsi incarnazione del verbo, “lasciate che i pargoli vengano a me”. Apre una crisi in un momento nel quale sa bene che sarà impossibile comporla senza il più imbarazzante dei rimpasti (se invece si andasse a votare resterebbe fuori dal Parlamento, e rischierebbe di mettere le chiavi di Palazzo Chigi in mano a farabutti come Salvini e Meloni). Magari si taglierà fuori dal governo, magari no; magari arriverà qualche ‘tecnico’ a salvare il salvabile. Ma nella sua mania di protagonismo Renzi avrà solo abbassato dell’ennesima tacca la credibilità delle istituzioni, in un Paese che già di suo non ci ha mai creduto granché. Qualcuno lo ritiene un figlio della prima Repubblica, quella del Pentapartito, della Democrazia cristiana come stile di vita e del manuale Cencelli. Però l’epoca delle grisaglie è passata, ora ogni passo falso è un regalo a quel populismo che le preferisce mojito e ciabatte. E il momento stregato della brillante promessa è passato da un pezzo.

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