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Un'occasione per discutere l’ordine politico ed economico

Vi è chi critica la società del consumo e il predominio della finanza sull’economia reale e chi invece critica il mercato globalizzato e cosmopolita

L'ottimismo manifestato all'inizio della pandemia ‘sembra finito nell’efficienza della Borsa’ (Ti-Press)
11 dicembre 2020
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Un noto economista (Alan Kirman) illustra con una storiella la ricerca schizofrenica dell’efficacia economica che sembra applicabile alla situazione che stiamo vivendo. Un prete, uno psicanalista e un economista giocano a golf. Stanno però perdendo molto tempo perché un giocatore che li precede è lentissimo, non vuol lasciare il campo libero nonostante incitamenti e grida da parte loro. Il prete decide di andare a parlargli e ritorna, mortificato: “La persona è lenta perché è cieca. È terribile, tanto più che io predico sempre ai miei fedeli di essere comprensivi”. Lo psicanalista aggiunge: “È terribile davvero, io ho spesso a che fare con dei ciechi e raccomando loro di vivere come gli altri”. L’economista taglia corto: “Sarà anche terribile, ma a noi crea una situazione di totale inefficienza. Basterebbe invitare quel tipo a venire a giocare di notte”. Quindi, bene con la compassione e la pari dignità, ma la libertà va condizionata all’efficienza. Non è difficile sostituire quei personaggi con i protagonisti del dramma che stiamo vivendo (il virus che intralcia tutto, Consiglio federale e Cantoni preoccupati e un poco impacciati, operatori economici agitati e drastici). Non è difficile vedervi la soluzione che molti pretenderebbero: spegniamo le luci (le informazioni, i dettagli, le misure) e saremmo tutti liberi ed efficienti.

Era un atteggiamento diverso quello che, all’inizio, si manifestava su muri e cartelloni: andrà tutto bene, ce la faremo. Sembrava la ripresa di una canzone emblematica di una generazione precedente: ‘We shall overcome… someday’. La cosa più importante era la sfida, il futuro o il ritorno ad una vita normale. Oggi quell’ottimismo sembra finito nell’efficienza della Borsa, con corsi che schizzano verso l’alto se gli Stati iniettano miliardi o se a un antivirus rimane solo un dieci per cento di rischio o si annuncia con clamore che lo si applicherà comunque, con opportuna e imperdibile miscela tra scienza accelerata e politichetta autoglorificantesi.

“Niente è più punitivo del dare un senso a una malattia perché quel senso sarà invariabilmente un senso moralizzatore”, scriveva Susan Sontag (‘La malattia come metafora politica’, 1978). Ottimi i servizi giornalistici che partendo dalle assurdita di un’emittente religiosa padana hanno voluto tagliar corto sulla corrispondenza tra epidemia, demonio o dio o chi sa quale demiurgo punitivo. Per fortuna, nelle nostre società secolarizzate non è più il peccato che si deve espiare, ma il male fatto alla società. Atteggiamento, questo, che sfocia in due scuole. La prima pretende una rivoluzione dei valori e focalizza la critica sulla società del consumo e il predominio della finanza sull’economia reale e vorrebbe quindi una società più eguale, frugale, pacifica e attenta all’ambiente. La seconda concentra invece la sua critica sul mercato globalizzato e cosmopolita, sui suoi enormi danni, e vorrebbe un ritorno dell’identità e delle frontiere nazionali. Classificarle, come si fa, con il solito spartiacque sinistra e destra ci lascia come prima o peggio. Conta il fatto che abbiano un denominatore comune: un’occasione per discutere l’ordine politico ed economico esistente.

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