Commento

È Mendrisio ed è… politica

La 'legnata' inferta dall'elezione di Samuele Cavadini al Ppd assume una valenza ticinese in vista delle Cantonali 2019

27 maggio 2018
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Signori si cambia. A sorpresa il sindacato di Mendrisio va a Samuele Cavadini che veste la maglia Plr. Una vittoria netta e storica. Ma cominciamo dal perdente. Abbiamo sentito tutti Marco Romano dichiarare che quei 1’422 voti in più andati a favore del contendente nella corsa alla poltrona di sindaco di Mendrisio sono ‘una legnata’: per lui e per il suo partito. Viva la sincerità, che in politica non è spesso moneta corrente. Una legnata per lui, che nel Magnifico Borgo è entrato in conclave  da papa, quasi certo di poter elegantemente difendere il sindacato detenuto da ben 46 anni; una legnata, sempre per Romano, perché, rispetto al vincitore, poteva vantare non solo la spintarella dell’uscente e potente ex sindaco Carlo Croci, ma anche la sua esperienza e la sua visibilità di consigliere nazionale; e una legnata anche per il Ppd che da mesi – dopo lo scandalo Argo 1 che ha fatto tremare i suoi vertici (il ministro Paolo Beltraminelli e il presidente Fiorenzo Dadò) – vive forti tensioni interne fra chi vuole la continuità e chi auspica che le due locomotive vengano sostituite in vista dell’appuntamento elettorale cantonale di aprile. Come noto, alcuni sindaci del Luganese e qualche big – pur essendo rimasti sinora un po’ sotto traccia – spingono per la discontinuità, mentre chi sta in cabina di pilotaggio opta per tenere duro, confidando nel balsamo del tempo che passa e fa dimenticare/perdonare.

Di fronte all’inattesa sconfitta – soprattutto viste le sue proporzioni – le tensioni torneranno a ribollire, come quando il sindaco di Massagno Giovanni Bruschetti e il consigliere nazionale Fabio Regazzi, in pieno scandalo Argogate, andarono al Quotidiano e non le mandarono a dire ai dirigenti del loro partito, sconfessando l’antico detto che i panni sporchi si lavano in casa.

Certo, qualcuno tenterà magari di relativizzare la sconfitta, paragonando la Caporetto di Mendrisio a quella che subì un paio di legislature fa il Plrt con la perdita del sindacato a Lugano. Ma attenzione, il paragone non regge, perché per espugnare il feudo di Giorgio Giudici ci volle una macchina elettorale chiamata Marco Borradori, che gareggiava per la Lega che ha e aveva la sua storica roccaforte a Lugano in via Monte Boglia. A Mendrisio invece Cavadini – il vincintore con lo slogan 'non è politica è Mendrisio' – rispetto a Romano si presentava come un (pur tenace) giovane peso piuma.

Non va infine dimenticato un altro fatto: il contesto generale. Attualmente i democristiani a livello nazionale stanno attraversando una profonda (epocale?) crisi di identità, lasciando sul campo, votazione cantonale dopo votazione, seggi nei governi. Un trend che pesa e che pure deve essere considerato dagli attuali vertici del partito popolare democratico in marcia verso la primavera 2019. Anche perché, di fronte a risultati in calo e non solo a livello nazionale, il Plrt affilerà certamente le armi per riprendersi il secondo seggio, cavalcando anche l’attuale felice momento che vede Ignazio Cassis in Consiglio federale apparire spesso e volentieri nei mass media e Christian Vitta condurre con barra ferma e senza polemiche ed errori di regia il suo Dfe.

Insomma, l’esito del duello momò ha aperto diversi fronti: riflessioni interne al Ppd (mantenere o cambiare i cavalli in corsa?) e appetiti in casa Plr (chi di forte affiancare a Vitta per tentare il raddoppio?). A questo punto le prossime elezioni cantonali rischiano di essere tutto tranne che scontate. In altre parole: non sarà un aprile da governo fotocopia. Mendrisio è… decisamente politica.

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