Commento

Stipendi, rimborsi e buon senso

Indipendentemente dalla buona fede - che non discutiamo - chi è disposto a rendere qualche formicone percepito con una base legale tanto claudicante?

14 marzo 2018
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Ci sono diversi modi di affrontare la spinosa questione dei rimborsi del Governo. È intanto un bene che ieri in Parlamento nessuno l’abbia buttata in politica nel goffo tentativo di dirottare l’ingarbugliata matassa verso una nuova commissione parlamentare d’inchiesta, per relativizzare la patata bollente Argo1. Un altro modo di affrontare il nodo è analizzarlo dal punto di vista giuridico. Ma qui i pareri di Parlamento e Governo divergono: uno sostiene che comunque la base legale è carente, perché formalmente una parte dei rimborsi non è stata sottoposta all’ufficio presidenziale del Parlamento (visione secondo noi convincente); l’altro, che l’esecutivo poteva agire così, sebbene fosse al corrente delle criticità. C’è infine un terzo modo di procedere, dettato dal buon senso, che sarebbe da preferire anche per non alimentare oltre l’antipolitica.
E cosa suggerisce il buon senso? Che se un potere (il Governo) fa un regolamento sui propri rimborsi e benefit, siccome è direttamente toccato, è più che opportuno (oltre che dovuto secondo la legge) sottoporlo per approvazione a un altro potere. Nel caso specifico il regolamento andava quindi spedito all’ufficio presidenziale del Parlamento per approvazione e, a detta di alcuni giuristi, in virtù della trasparenza, andava persino pubblicato sul foglio ufficiale. Il non averlo fatto ha legittimato le polemiche delle ultime settimane, con risvolti purtroppo anche giudiziari.

Sempre seguendo il buon senso, guardando al merito, ci chiediamo: l’esecutivo si è forse autoattribuito privilegi tali da stupire i cittadini, che sono poi quelli che gli conferiscono il mandato per governare? La risposta è: in parte sì. Questo perché, guardando alla sostanza, ossia alle singole voci, è risultato che i ministri hanno, ad esempio, diritto a un regalo a fine mandato del valore massimo di 10mila franchi esentasse. Un regalo che, in assenza di regole sufficientemente vincolanti, qualcuno ha persino preferito ritirare in denaro. Pare che ora, accorgendosi dell’inopportunità, i consiglieri di Stato siano disposti a ricevere solo un ‘piccolo (!) dono non soggetto ad imposta’ e pure pronti ad accettare ‘che sono esclusi versamenti in denaro’. Chiaro il cambiamento di prospettiva, o no? Succede, quando le regole non sono abbastanza precise… Anche i due salari al termine del mandato necessitano di ulteriori precisazioni. Infatti, chiediamoci chi fra i consiglieri di Stato che negli ultimi anni hanno lasciato il Governo aveva – diciamo così – uno spiccato interesse a introdurre il nuovo eletto? In un caso, la nuova arrivata aveva spodestato dalla carica la collega; negli altri il neoeletto militava in un partito diverso da quello dell’uscente. Morale della favola: quel salario è stato corrisposto senza nessun particolare obbligo/impegno concreto. Oggi, per contro, il governo sarebbe orientato a precisare che l’uscente possa venir incaricato per un massimo di due mesi per assicurare il passaggio delle conoscenze. Quindi ci sarà un motivo ben preciso sancito nella legge e non più un semplice automatismo. Tiro nuovamente corretto.

Non è dunque vero che si è montata una tempesta in un bicchier d’acqua. Anzi: a questi pasticci si somma poi la (scandalosa!) querelle col cancelliere, invitato dal Governo a rinunciare al doppio salario cumulato con la pensione. Sarà pure analizzato il reddito supplementare percepito mentre era in carica (32’500 franchi l’anno) dalla Regio. Riecco dunque la domanda che abbiamo posto all’inizio. Indipendentemente dalla buona fede – che non discutiamo – chi è disposto a rendere qualche formicone percepito con una base legale tanto claudicante?

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