Commento

Perché arrivi davvero al cuore

10 settembre 2016
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Era un anno fa. Con un po’ di stupore e un certo compiacimento, abbiamo visto migliaia di persone percorrere il tappeto rosso che portava dentro il Lac. Ora, un anno dopo, la direzione del Centro culturale sventola cifre positive, oltre le migliori aspettative. Bene, non possiamo che rallegrarcene.
Così è, tanto più in un contesto in cui il Lac viene elevato a oggetto di interessate attenzioni politiche, se non di triviali conflitti più o meno dietro le quinte; l’Orchestra della Svizzera italiana si trova di nuovo, dopo pochi anni, a dover attraversare il suo deserto di incertezza, confidando di raggiungere infine la terra promessa della stabilità, cioè del riconoscimento economico, sociale e culturale; e i “privilegi” concessi alla Compagnia Finzi Pasca (ripagati con gli interessi) hanno fatto mugugnare tanti, sensibili e non alle ragioni della poesia; e l’esistenza stessa del Lac, fatale accentratore di attenzioni, è stata vista come una minaccia ai precari equilibri della asfittica realtà culturale ticinese.
In un contesto culturalmente frammentato, in una regione minoritaria la cui identità è forse ancora un enigma per i suoi stessi abitanti, in un centro cittadino talora disperatamente privo di qualsivoglia segnale di presenza umana, il Lac è stato una botta di vita. Pur non esente da imperfezioni, ha regalato un contenitore finalmente degno dei contenuti proposti al pubblico e potenzialmente abile ad essere scorto e riconosciuto anche a distanza, ben oltre i nostri confini; ha allargato i margini della Città, e forse anche degli altri centri cantonali, avviando il suo possibile contributo alla costituzione di quella fantomatica “Città Ticino”, ancora frustrata da particolarismi, provincialismi e altri ismi duri a morire; ha soprattutto regalato un luogo che, piaccia o meno, può partecipare in modo decisivo ad un percorso collettivo di riconoscimento identitario, che non può prescindere dall’esperienza della cultura. In questo senso ci pare significativo il lavoro avviato a livello teatrale, al di là del fatto che non possiamo annoverarci fra quelli che hanno particolarmente apprezzato la prima produzione di LuganoInScena.
Provando a guardare al cuore del fatto costituito dal Lac, preferiamo sfuggire certi toni da vecchi venditori al mercato o da moderni uffici marketing. Né troviamo più di tanto seducenti le nude cifre, anche perché possono facilmente mutare valore a seconda del punto di vista da cui le si legge. Certo, i molteplici “tutto esaurito” della Sala teatro fanno bene, e il fatto che oltre la metà dei visitatori del Museo vengano da fuori cantone è un bel segnale. Eppure, per fare un esempio, non riusciamo a trovare illuminata la campagna pro “grandi mostre” condotta da taluni. Oggi, un anno dopo, il Lac esiste e funziona. Ma, ci pare, deve essere ancora fatto, trovato nella sua specificità, in una sua identità che, conquistata con competenza e coraggio, possa risultare realmente riconoscibile; dentro e fuori i nostri confini. Questo ci pare il discorso, adesso; il successo sarà una conseguenza.
Per cominciare, ci paiono lungimiranti i progetti avviati di mediazione e di educazione alla cultura, con cui aprire le porte del Lac a più persone possibile. Questa è la base perché, va ricordato, per ragioni sociali o economiche la fruizione della cultura resta preclusa a troppi. E allora, chi lo avrebbe mai detto, ci rifacciamo alle parole di Marco Borradori: il Lac deve parlare, anzi contribuire a creare il nostro “cuore intelligente”. Ma, di pari passo, coltivando l’utopia di arrivare al cuore di tutti, deve trovare il suo.

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