Commento

Parliamo di Paul

27 giugno 2016
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In attesa di saperne di più (nel rispetto della protezione dei minori) sulla scomparsa/fuga del piccolo Paul da Gunzgen, durata una settimana, sui suoi movimenti ‘spontanei’, o obbligati, verso la Germania, sul suo arrivo e sulla sua permanenza in un appartamento a Düsseldorf con un adulto, vale la pena cogliere questa vicenda al balzo per un paio di considerazioni su come va il nuovo mondo che è il nostro. Da anni ormai si va ripetendo che la rete è la nuova porta d’accesso per tutti, grandi e piccini, verso il mondo. Che essa non fa differenze fra giovani, da tutelare, e adulti, che invece dovrebbero essere (anche se il condizionale è pur sempre d’obbligo) più scafati. Ti fa entrare e poi tocca a te arrangiarti, o meglio: dovresti arrangiarti prima conoscendo regole e soprattutto rischi. Rischi anche grossi. Come l’adescamento. È quanto accaduto a Paul e forse non solo a lui! Non per caso in mille salse si ripetono gli appelli della polizia, della magistratura, di qualche associazione ecc. a non lasciare soli i più giovani quando navigano nella rete. Ma, lo sappiamo tutti, per i nativi digitali postare foto loro e di loro amici, scambiarsi messaggi, filmati, navigare, chattare è un modo di vivere. Basta prendere un bus o un treno per capire che la realtà sotto i nostri occhi non è più quella di viaggiatori intenti magari anche a sfogliare una rivista, a leggere un giornale o a fare due chiacchiere. No, il mondo non è più quello. Tutti o quasi viaggiano con gli occhi puntati sullo schermo di un portatile, di un iPad, o di un telefonino. Insomma, quella porta spalancata sul mondo è semplicemente sempre spalancata per tutti. E oltre la soglia ci sono amici, conoscenti, ma anche illustri sconosciuti. Buoni e anche particolarmente cattivi. Se gettiamo uno sguardo nel sito della Polizia cantonale notiamo che il tema della pericolosità della rete è divenuto ormai un argomento dominante. Si rincorrono dossier e messe in guardia, abbinati a opuscoli rivolti ai minori, ma anche ai loro genitori dai titoli ‘abusi sessuali attraverso internet’, ‘dipendenza da internet’, ‘cyberbullismo’ ecc. E pensare che sino a qualche anno fa la facevano da padroni ‘solo’ l’alcolismo e le droghe. Richiudere quella finestra spalancata sul mondo non è una soluzione, visto che c’è sempre un amico col telefonino a portata di mano. A noi genitori non resta altro da fare che approfittare ancor di più di casi come quello di Paul per parlare coi figli, per mostrar loro cosa può succedere se qualche orco mascherato approfitta dell’ingenuità di chi clicca senza ragionare. Anche a costo di fare la figura dei matusa. Anche a costo di risultare mega-noiosi. Importante è dire loro cosa è successo a un dodicenne svizzero, e, fuori dalle emergenze, parlare semplicemente del più e del meno con loro, passare del tempo insieme, sempre prezioso (anche perché altrimenti verrà in parte assorbito dalla rete), per cercare di capire se c’è qualcosa che non va. Non è facile, anzi è piuttosto difficile. Ma l’obiettivo, come in altri ambiti educativi, è nobile: prepararli alla vita. Anche a quella virtuale.

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