Commento

Due Americhe a confronto

8 giugno 2016
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Sarà Trump contro Clinton. A primarie di fatto concluse, si può dire che la sfida per la presidenza degli Stati Uniti avverrà tra un candidato anti-sistema (o che si pretende tale) e una candidata che il sistema incarna e sostiene. Una distinzione netta, almeno in apparenza, tra due figure e soprattutto tra due modi di intendere la politica e di intendersi di potere. Dunque una novità, per molti versi: repubblicani o democratici che fossero, sempre i candidati hanno tributato omaggio e professato fedeltà a un sistema di regole e linguaggio al cui interno disputarsi la presidenza. Trump, ed è una spiegazione del suo successo, se ne è chiamato fuori, facendo del “politicamente scorretto” una leva formidabile per smuovere l’apatia di un elettorato disilluso, disinformato, colmo di risentimento. Potrebbe essere soltanto una strategia di marketing elettorale, hanno osservato correttamente alcuni analisti, che necessariamente virerebbe su una retorica e una condotta ben più “rispettabili” nel caso di assunzione dei poteri presidenziali. È ben lecito dubitarne, tuttavia. Il personaggio ha una indole e una storia precise: il suo razzismo, le sue vanterie da macho, la propensione a una finanza di rapina non sono invenzioni o atteggiamenti finalizzati a suscitare consensi. Mario Vargas Llosa lo aveva scritto su ‘El País’ il 9 agosto dell’anno scorso. Anche tra i milionari – queste le parole del Nobel per la letteratura peruviano – ci sono persone di ogni tipo: brava gente “o imbéciles racistas como el señor Donald Trump”. La traduzione è superflua. Al contrario, Hillary Rodham Clinton, si propone (ed è) quale garante di una continuità che assicuri agli Stati Uniti la tenuta di cui necessitano in tempi calamitosi. Argomento sul quale Trump non ha alcunché da opporre: Clinton ha conosciuto la Casa Bianca da moglie del presidente e poi da Segretario di Stato. Conosce i meccanismi del potere istituzionale e gli arcani delle relazioni che gli Stati Uniti intrattengono con il resto del mondo, come nessuno di tutti i candidati affacciatisi sulla scena delle primarie poteva sostenere. Forte di un’esperienza di tale spessore, Clinton raffigura una garanzia, agli occhi di molti elettori e politici; oppure, per altrettanti di opposto parere, l’insopportabile conferma dell’immutabilità di un sistema preoccupato innanzitutto di perpetuarsi. In un certo senso, la sua condizione iniziale di candidata “naturale” e naturalmente vittoriosa, “giusta” per il ruolo a cui ambisce, ha posto le condizioni per il successo di Trump, da un lato (si veda il pezzo di Roberto Antonini a pagina 2), e della straordinaria visibilità ottenuta dal concorrente democratico Bernie Sanders: l’uno e l’altro comprensibilmente rivendicando per sé l’incarnazione dell’alternativa. E su questo allora bisogna intendersi. Che un miliardario spaccone possa reclamarsi paladino anti-sistema, in un mondo e in un sistema in cui è la ricchezza a dettare le scelte della politica, è una contraddizione in termini. E il tentativo di prenderne le distanze da parte del partito repubblicano, dopo anni di progressivo spostamento su posizioni di destra radicale, è una misera foglia di fico sulle vergogne della propria storia recente. Che infine l’alternativa più credibilmente genuina di Sanders potesse avere chance di riscrivere una storia già dettata è forse stata una illusione coltivata da una bella fetta di elettorato democratico. Starà a Clinton, interpretandone i contenuti, decidere se farla restare tale.

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