Commento

Se non ora, quando?

8 marzo 2016
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Col processo apertosi ieri nel Canton Vaud torna sulla scena mediatica il delicato tema dell’internamento a vita dei criminali sessuomani pericolosi non guaribili (cfr. servizio a pagina 8). Alla sbarra c’è l’assassino di Marie, accusato di aver rapito e ucciso la giovane 19enne mentre si trovava agli arresti domiciliari per una precedente condanna sempre per assassinio. In aula torneranno alla ribalta innanzitutto i fatti, destinati già di per sé a far riflettere: il rapimento della ragazza – che conosceva il suo aggressore-assassino, col quale intratteneva da poco una relazione – avvenuto mentre si apprestava a lasciare il ristorante dove lavorava, per poi essere costretta con la forza a salire sull’automobile col terribile destino ormai segnato. Scoperto l’assassinio, all’incredulità per la crudele uccisione di Marie, si era aggiunta ben presto rabbia, tanta rabbia, da parte dell’opinione pubblica per i gravissimi precedenti a carico dell’assassino. Quest’ultimo stava infatti terminando di espiare, munito di ‘semplice’ braccialetto elettronico, una condanna a 20 anni di reclusione, per aver ucciso anni prima la sua ex compagna con diversi colpi di pistola. Come già successo in alcuni, per fortuna limitati, ma altrettanto gravi casi negli ultimi anni, il processo vodese dovrà analizzare i reati d’assassinio, coazione sessuale, sequestro e rapimento, e dovrà riaccendere i riflettori anche su due momenti delicati nell’esecuzione della pena: il percorso di rieducazione e risocializzazione in carcere e la fase di espiazione della pena a domicilio. Quando sono possibili e utili? Quando sono invece inammissibili? Quando cioè è importante arrendersi di fronte a un pericoloso assassino recidivo e decidere che nei suoi confronti va pronunciato esclusivamente l’internamento a vita? Quest’ultimo aspetto andrà in particolare approfondito con l’ausilio di perizie psichiatriche, che devono aiutare i giudici a farsi un’opinione e a prendere una decisione al riguardo. Ancora una volta, di perizie ce ne sono però due che, guarda caso, portano a conclusioni divergenti. Da una parte c’è una perizia che definisce l’assassino uno psicopatico refrattario alle terapie per tutto il corso della sua vita. In questo caso la sua responsabilità penale è quindi piena e il rischio di recidiva serio. Andrebbe quindi internato a vita. Sul tavolo, come detto, c’è però anche un parere più soft, firmato da un secondo esperto, che evidenzia le gravi turbe della personalità del maniaco e una sua responsabilità penale mediamente diminuita. Pur riconoscendo un rischio ‘troppo elevato’ di recidiva, l’esperto ritiene che non si possa considerare l’uomo incurabile a vita. Sarà quindi centrale per la Corte approfondire nel dettaglio le analisi dei due specialisti. Questo da un punto di vista giuridico giudiziario. Mentre sul fronte molto più ‘semplice’ dell’opinione pubblica, che ha già dato indicazioni molto concrete benedicendo alle urne a larga maggioranza la modifica legislativa a favore dell’internamento a vita dei criminali sessuomani pericolosi non guaribili, ci si chiede più semplicemente: ma se questo non è un caso – purtroppo – da manuale per applicare l’internamento a vita, in quali frangenti si potrà applicare quell’articolo di legge? È sotto gli occhi di tutti che in questa vicenda è già la seconda volta che, dando la preferenza alla rieducazione (fallita) e alla libertà individuale (tradita), a farne le spese sia stata la sicurezza della comunità e in questo caso la povera Marie. Cos’altro attendere?

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