Commento

Il giorno più lungo per l’Eurozona

27 giugno 2015
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L’Eurogruppo di oggi pomeriggio, la riunione dei ministri delle Finanze dei 19 Paesi che hanno adottato l’euro, deve essere quello definitivo. Una soluzione alla ridicola, ormai, trattativa tra creditori internazionali e governo greco dovrà per forza di cose essere trovata. È l’unica scelta razionale possibile per evitare un disordinato default. L’ha ordinato la cancelliera tedesca Angela Merkel. In caso contrario, lunedì 29 giugno, all’apertura dei mercati finanziari, rischia di trasformarsi in una giornata nera da segnare in rosso sugli annali dei listini borsistici di mezzo mondo. Il premier greco Alexis Tsipras è tra due fuochi. Da una parte Bruxelles, che prima di prestare altri soldi alla Grecia esige misure strutturali in grado di risanare i conti pubblici e di ricorrere meno al debito. Dall’altra, le preoccupazioni e le tensioni interne, sociali e politiche: i cittadini sono esasperati da una crisi lunga anni, che ha portato un greco su quattro a perdere il lavoro e il partito di Tsipras, Syriza, ha vinto le elezioni esattamente sei mesi fa promettendo proprio che non avrebbe approvato altre misure di austerità. Bruxelles vuole, invece, altri tagli alla spesa pubblica – pensioni e sussidi sociali, già falcidiati negli anni scorsi – e aumenti dell’Iva – soprattutto a carico di hotel e ristoranti, cioè quell’indotto turistico che costituisce uno dei pochi punti di forza dell’indebolita economia nazionale. Tsipras fa sapere che non accetterà. Non vuole accettare queste riforme nemmeno se l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale propongono una proroga di cinque mesi e di erogare subito quasi due miliardi di euro.
Come scritto più volte, ci si trova di fronte a due opposte visioni della politica economica, due scuole di pensiero assolutamente inconciliabili: una d’impronta neo-liberale (tagli alla spesa pubblica) e l’altra più orientata all’intervento pubblico per il sostegno della domanda. Cedere, per uno dei due, equivale a dare ragione all’altro. E in questo consiste il fattore irrazionale su cui si potrebbe scivolare domani sera. Un errore di valutazione da una parte e dall’altra potrebbe scatenare la tempesta perfetta sui mercati finanziari.
In caso di non accordo, Atene si troverà probabilmente nell’impossibilità di onorare la scadenza del 30 giugno nei confronti del Fondo monetario (1,6 miliardi di euro) a cui si aggiungerebbe quello in scadenza il 20 luglio nei confronti della Bce (3,5 miliardi) e via di seguito di mese in mese. Si innescherebbe di fatto il processo che porterebbe al default, al fallimento, con l’inevitabile panico sui mercati finanziari. Si tornerebbe a parlare di spread e i danni collaterali (speculazione al ribasso su tutto ciò che è targato Europa meridionale) sarebbero elevatissimi. Per avere una dimensione del botto basta tenere presente a quanto ammonta l’attuale debito pubblico greco: ben 320 miliardi di euro a cui bisognerebbe aggiungere quello di banche e imprese (180 miliardi) e quello del sistema dei pagamenti interno al cosiddetto eurosistema (altri 96 miliardi). In totale il default greco ammonterebbe a circa 600 miliardi di euro. Non conviene a nessuno, né ai greci né ai creditori ottusamente nascosti dietro veli ideologici.
Ma tutto questo i negoziatori lo sanno benissimo. Basta che se ne ricordino anche questo pomeriggio.

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