Mi permetto di scrivere una piccola opinione su un evento che ha attirato, oltre al mio, anche il vostro interesse, sebbene per motivi differenti. In sala al Lac c’era un anziano che parlava di cosa significasse bere acqua da un pozzo con dentro cadaveri. Fuori dalle vetrate, c’era un corteo di persone che inneggiavano con bandiere. Quel signore ha portato, quasi sussurrando dall’emozione, la testimonianza di lui e di sua madre, sopravvissuti dentro a un Lager senza cibo. La parata all’esterno gridava slogan ripetendoli cento, mille volte “Assassino”.
Quell’uomo nella sala ha commosso un folto pubblico raccontando che, dopo essere stato costretto a marciare verso un secondo Lager di sterminio, il primo dove era stato internato con la sua famiglia sembrava quasi “migliore”. Nella piazza, avveniva contabilità spicciola che includeva mascherati e pubblico pagante, in nome della guerra ai numeri.
Nella sala, i ricordi di un bambino che aveva visto il regresso dell’uomo trasformato in animale. A otto anni, un pezzo di pane era sufficiente per essere sciacallato. Fuori dalle vetrate, la politica della pancia e l’intelligenza collettiva della massa chiedevano di epurare la cultura, di spegnere la musica, di far tacere l’arte in nome dell’ideologia. Nella sala, i musicisti hanno… suonato. Suonato. Hanno reso omaggio, tra gli altri, a Čajkovskij – genio osteggiato, tra le altre cose, per la sua omosessualità. La Giornata della memoria serve a ricordarci che non molto tempo fa, le persone con le bandiere nelle piazze, inneggianti slogan tanto forti quanto vacui, prima uccisero la cultura e poi la gente, in nome di un “alto ideale”.
Ivan Lefkovits “Assassino”, sopravvissuto ai Lager di Ravensbrück e Bergen-Belsen, dopo Lugano porterà la sua testimonianza all’Onu il 27.1.