laR+ I dibattiti

Aspro Natale

Sotto Natale le pagine della «Regione» sono state animate da alcuni temi controversi. Tra questi anche l’insolita fretta della Divisione della cultura nel bandire un paio di concorsi, a più di un anno dal previsto pensionamento del direttore dell’Archivio cantonale e della direttrice della Pinacoteca Züst. Un riepilogo per i distratti: la questione era emersa inizialmente sulla «Domenica» del 18 dicembre con un confronto a distanza tra Mario Botta, la presidente dell’Associazione dei musei svizzeri Carole Haensler e la direttrice della Divisione della cultura e degli studi universitari, Raffaella Castagnola Rossini. Botta e Haensler esprimevano preoccupazione per il passaggio dalla funzione attuale di direttrice-curatrice della Züst a quella di semplice curatore/curatrice. È seguito, il 20 dicembre, l’intervento sulla «Regione» di Andrea Ghiringhelli, in prima pagina, a cui ha replicato il giorno dopo, con la velocità del lampo, Raffaella Castagnola, postillata lì per lì dallo stesso Ghiringhelli. E si è infine avuta notizia («La Regione», 24 dicembre) di un’articolata interpellanza presentata al Consiglio di Stato dalla granconsigliera Anna Biscossa. Un piccolo regalo di Natale.

La voce riportata da Andrea Ghiringhelli, e cioè che potrebbe trattarsi «di un’operazione clientelare per consentire di sistemare le cose prima delle elezioni di aprile», non sembra così campata in aria. Tanto più se, riferisce ancora Ghiringhelli, «il vento potrebbe cambiare per chi è abituato a gestire lo spazio culturale con piglio autoritario ma scarsa autorevolezza» (e saranno soprattutto queste parole ad aver prodotto l’immediata replica della Divisionaria: un giudizio più esteso di Ghiringhelli si può rileggere sul «Caffè» del 26 gennaio 2020). O forse, pensando al "declassamento" previsto per la pinacoteca, siamo all’alba di un progetto gestionale accentratore in cui i responsabili dei vari istituti culturali diventano subordinati diretti della Divisionaria?

Al di là dei concorsi anticipati, e in attesa delle prevedibili risposte del Consiglio di Stato, è il caso di allargare il discorso e di accennare al diffuso malessere (prudente eufemismo) che ha attraversato vari segmenti del settore della cultura in questi ultimi anni. Tra le ragioni, oltre all’irrigidimento burocratico al limite del vessatorio, una scarsissima propensione all’ascolto (altra espressione quasi eufemistica) da parte della Divisionaria, attitudine, questa, che condivide con il Consigliere di Stato che la dirige. «Ci permetteremo eventualmente di ricontattarvi qualora ritenessimo opportuno un confronto diretto»: con questo capolavoro di apertura si chiudeva la risposta del ministro (18 febbraio 2020) a un gruppo di enti e associazioni culturali che aveva esposto la propria preoccupazione in merito al funzionamento della Divisione. In marzo alcune persone erano intenzionate a rilanciare pubblicamente il tema, ma il Covid ha preso improvvisamente il sopravvento, travolgendo anche quei propositi, forse vani. È pur vero, a quanto mi si dice, che nel frattempo c’è stato qualche snellimento delle pratiche burocratiche, senza tuttavia che il clima di disagio e sfiducia sia venuto meno. Insomma, i curiosi concorsi anticipati sembrano la manifestazione collaterale di un problema più grande e di nomine sbagliate del passato. In modo diverso, perché diverse sono le modalità di produzione e di finanziamento, sono stati portati all’esasperazione gli ambienti del teatro, della musica, della ricerca storica, del cinema, dell’editoria... Esasperazione che difficilmente può esprimersi apertamente, per motivi altrettanto diversi, ma che ancora vibra nell’aria.

Si è parlato molto in questi mesi – anche fino alla noia – di persone, di procedure elettorali, di candidature blindate. Sarebbe ora di dire anche altro in merito alla successione alla guida del Decs. Per esempio augurarsi che chiunque arrivi su quella poltrona sia capace di attivare una dinamica di ascolto con chi lavora negli ambiti di sua competenza – i produttori di cultura, i docenti – senza pensare di avere a priori la soluzione migliore. E che anche la scelta degli alti funzionari sia coerente con quell’attitudine.

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