Un video girato dalla telecamera di un'auto rivela che non solo il fruttivendolo-eroe Ahmed Al Ahmed ha tentato di disarmare gli attentatori di Sydney. Un'altra coppia ha provato a intervenire, finendo però uccisa. È emerso nel giorno in cui il primo ministro australiano Anthony Albanese ha spazzato via ogni ultimo dubbio sul movente della strage. Il padre e il figlio che hanno sparato sulla folla inerme della festa ebraica di Hannukah a Bondi Beach, uccidendo 15 persone, erano motivati dall‘"ideologia dello Stato islamico".
Un odio che Boris Gurman, 69 anni, e la moglie Sofia, 61 anni, hanno provato a fermare. Loro due sono, di fatto le prime vittime, dell'attentato. Le immagini drammatiche di una ’dashcam' mostrano il momento in cui Boris placca Said Akram, il più anziano dei due terroristi, sulla Campbell Parade a Bondi, mentre quest'ultimo esce dalla sua auto che sul parabrezza ha la bandiera dello Stato Islamico. Boris sembra spingere Akram e strappargli l'arma, mentre anche Sofia viene coinvolta nello scontro. La ripresa poi si allontana. Ma un altro filmato, ripreso da un drone poco dopo, mostra la coppia esanime a terra. Boris era un meccanico in pensione, lei aveva lavorato per le Poste Australiane. Il mese prossimo progettavano di festeggiare il loro 35° anniversario di matrimonio.
Intanto monta la polemica per la sicurezza garantita all'evento. Dopo aver dichiarato che in spiaggia c'erano solo due agenti, Chris Minns, il premier del Nuovo Galles del Sud, è stato costretto a chiarire che ce ne erano tre, e che altri venti si sono precipitati sul posto in breve tempo. Parole che gettano benzina sul fuoco, soprattutto nella comunità ebraica, visto che l'evento era facilmente identificabile come obiettivo di azioni violente. Polemiche che si sommano a quelle sul fatto che il più giovane degli attentatori, Naveed Akram, 24 anni, era già finito nel 2019 sotto la lente d'ingrandimento dell'intelligence australiana proprio per i suoi legami con una cellula locale dell'Isis. Ma in sei mesi d'indagine non erano emerse prove di una sua radicalizzazione, men che meno del padre, ha spiegato Albanese.
Spetterà ora alla indagini chiarire i fatti, anche grazie al contributo che forse darà lo stesso Naveed, che si è risvegliato dal coma. Era ricoverato da domenica, dopo essere stato colpito dalla polizia. Ora sarà incriminato. La polizia sta ricostruendo il percorso di radicalizzazione che ha seguito col padre. Si è scoperto che il primo novembre i due hanno viaggiato nelle Filippine. Sbarcando Said ha esibito il passaporto indiano, conservato da quando era emigrato in Australia nel 1998. Il figlio invece ha mostrato il suo documento australiano, visto che nel Paese è nato nel 2001. Ai poliziotti filippini i due hanno indicato come destinazione finale Davao, città di Mindanao, l'isola da anni focolaio dei movimenti ribelli islamisti. Sull'isola, secondo gli investigatori, padre e figlio hanno ricevuto "un addestramento di tipo militare". Poi il 28 novembre sono tornati a Sydney. Da quel momento, in sole due settimane hanno pianificato una strage.