Sostenitori denunciano manganellate e detenzione opaca dopo l'arresto a Mashhad durante una cerimonia funebre; Teheran parla di 39 arrestati
"Violenti e ripetuti colpi di manganello alla testa e al collo". Colpi "così forti" che "è stata portata due volte al pronto soccorso". I sostenitori di Narges Mohammadi accusano la polizia iraniana di aver arrestato la premio Nobel con violenza brutale.
Accuse pesantissime, che secondo la Fondazione Narges sono state lanciate dalla stessa Mohammadi in una "breve e concisa" telefonata con i suoi familiari e che fanno temere per la salute dell'attivista per i diritti umani: "Le sue condizioni fisiche non erano buone, sembrava stare male", denuncia infatti la Fondazione parlando della telefonata.
Narges Mohammadi è stata arrestata venerdì scorso da "poliziotti in borghese", afferma la sua famiglia, che dice di non aver saputo nulla di lei per giorni, fino alla telefonata di domenica sera. Una telefonata nella quale l'attivista avrebbe anche detto di essere stata accusata di "collaborare col governo di Israele". Ma al momento non è ancora chiaro quali siano le imputazioni rivolte ufficialmente all'attivista e alle altre persone arrestate assieme a lei.
L'arresto di Mohammadi appare in ogni caso di ovvia matrice politica. La premio Nobel è stata infatti arrestata assieme a decine di altri attivisti nella città di Mashhad, dove - stando ai media internazionali - stava partecipando a una cerimonia funebre durante la quale sarebbero stati scanditi slogan contro il governo. Una cerimonia organizzata in memoria di Khosrow Alikordi: un avvocato che in questi anni aveva difeso diverse persone arrestate nella dura repressione messa in atto da Teheran per soffocare le proteste antigovernative e il dissenso politico. Il governo iraniano sostiene che Alikordi sia morto per un attacco cardiaco, ma i difensori dei diritti umani ritengono "sospetto" il decesso del giurista.
Mohammadi ha dedicato gran parte della sua vita alla difesa dei diritti umani e della libertà delle donne e alla lotta contro la pena di morte. E con queste motivazioni le è stato assegnato il premio Nobel per la Pace nel 2023, mentre era dietro le sbarre. È stata arrestata 13 volte e condannata a oltre 36 anni di reclusione e a 154 frustate, raccontano i suoi sostenitori.
È stata anche reclusa nel famigerato carcere di Evin, a Teheran. A difesa di Mohammadi si è subito schierato Jafar Panahi: il regista iraniano, che ha vinto la Palma d'oro a Cannes col film "Un semplice incidente" ed è una voce molto critica nei confronti del governo di Teheran, ha chiesto "il rilascio immediato e incondizionato" di tutte le persone arrestate venerdì. E lo stesso ha fatto nei giorni scorsi il Comitato per il Nobel dicendosi "profondamente preoccupato per il brutale arresto".
Teheran sostiene che gli arrestati siano in totale 39. E, secondo la Fondazione Narges, Mohammadi ha chiesto alla sua famiglia di "presentare immediatamente e senza indugio una denuncia formale contro l'organismo di sicurezza che l'ha detenuta e contro il modo violento in cui è stata arrestata". Ma allo stesso tempo, riporta il New York Times, l'attivista "ha sottolineato di non sapere nemmeno quale autorità di sicurezza la stia attualmente trattenendo" e che "non le è stata fornita alcuna spiegazione al riguardo".