Jimmy Carter, morto domenica a cent’anni, è stato una sorta di anomalia alla Casa Bianca. Un uomo umile e di pace che ha saputo guardare lontano
“Prima che il politico, a noi piace ricordare l’uomo” ci spiega Harvey Feigenbaum, professore alla George Washington University. “Possiamo senz’altro affermare che Jimmy Carter è stato l’opposto di Donald Trump ma anche di altri presidenti: un uomo profondamente religioso, coerente con la sua visione umanistica, un uomo di pace, umile come nessun altro”.
La diffusa Carter-nostalgia per un personaggio così anomalo ritratto dal politologo americano, ci conduce a rispolverare qualche immagine nell’album dei presidenti. Una in particolare: un paio di anni fa, i due ultra novantenni Jimmy e la moglie Rosalynn, mano nella mano, camminano lentamente, piegati dall’età, seguiti da due guardie del corpo, lungo la Church Street per raggiungere la loro modesta dimora nel villaggio di Plains, 500 abitanti, in Georgia. Primo presidente del profondo sud dal lontano 1837, Carter ha sempre voluto vivere, lontano dai fasti del potere, nell’abitazione che aveva fatto costruire con la moglie nel 1961.
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Carter bucolico
Ritornato semplice cittadino dopo la mancata rielezione nel 1980 aveva rifiutato lucrose conferenze a pagamento e l’offerta fattagli da numerose aziende di entrare nei loro consigli di amministrazione. “Non voglio capitalizzare finanziariamente la presidenza del Paese e non ho alcuna ambizione di arricchirmi” aveva spiegato in un’intervista. “Noi americani non siamo di certo abituati a politici che sposano questa dimensione etica” commenta Feigenbaum.
Il tempo sembra essere galantuomo con il 39esimo presidente degli Stati Uniti. “È stato forse il presidente più frainteso, meno capito della storia americana” ha scritto Jonathan Alter nella biografia “His Very Best: Jimmy Carter, a Life”. Oggi non pochi americani sottoscriverebbero le parole pronunciate ieri dal figlio Chip: “Mio padre era un eroe, non solo per me, ma per tutti quanti credono nella pace e nei diritti umani”. “È vero, è stato uomo di pace, durante e dopo la presidenza, anche se non bisogna dimenticare che è stato durante il suo mandato anche un prodotto della Guerra fredda: non a caso aveva scelto quale Consigliere alla Sicurezza Nazionale il falco Zbigniew Brzeziński” sottolinea Harvey Feigenbaum. Al suo attivo la normalizzazione dei rapporti con la Cina, avviata già da Richard Nixon, e soprattutto gli accordi di Camp David firmati da Anwar Sadat e Menahem Begin, raggiunti grazie alla sua straordinaria tenacia. Un’ostinazione che fu ricompensata dal Nobel della Pace nel 2002, 24 anni dopo l’analogo conferimento ai due statisti egiziano e israeliano.
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Gli accordi di Camp David
Presidente di un’America che ambiva alla leadership nella difesa dei diritti umani, Jimmy Carter è stato anche uno strenuo fautore della protezione ambientale e un precursore del tutto incompreso della lotta per le energie rinnovabili: nel 1979 fece istallare 32 pannelli solari sul tetto della Casa Bianca (poi rimossi dal suo successore Ronald Reagan) profetizzando che a dipendenza dell’atteggiamento dei politici e industriali americani il solare “sarebbe potuto rimanere una semplice curiosità, un’invenzione da mettere in un museo, o una delle maggiori avventure mai intraprese dal Paese”. Il presidente aveva – fatto poco noto – una solida formazione accademica di ingegnere nucleare, anche se la sua immagine rinvia ancor oggi a quella di un “farmer”, un coltivatore di arachidi dal sorriso a 36 denti.
Come spesso accaduto nella storia americana, la sua rielezione fu compromessa dalla situazione economica. “Forte inflazione e debole crescita, cioè stagflazione, ancor oggi il prezzo della benzina e dei beni alimentari risulta determinante quando si inserisce la scheda nell’urna” riassume Feigenbaum che si sofferma anche sulla seconda causa della bruciante sconfitta inflittagli dal repubblicano Ronald Reagan nel 1980: “La presa d’ostaggi all’ambasciata di Teheran nel 1979, il disastroso tentativo di liberarli e quegli interminabili 444 giorni di prigionia, contribuirono a screditarlo e ad affibbiargli la nomea immeritata, di uno statista mediocre. Ci sarebbe da ricordare tra l’altro che il rilascio degli ostaggi fu volutamente ritardato da negoziati segreti tra gli iraniani e il candidato repubblicano”.
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Bagno di folla
Quattro decenni come ex presidente: un record. Così come è un singolare primato presidenziale quello dei 77 anni di matrimonio con Rosalynn, di tre anni più giovane, morta un anno fa all’età di 96 anni. “Jimmy Carter ha avuto il tempo di conquistare l’affetto di tantissimi americani proprio come ex presidente”: Feigenbaum condivide l’opinione di molti commentatori. Impregnato di una fede cristiana profonda quanto poco esibita, non ha cessato di mettere in pratica le sue convinzioni. Molte immagini lo immortalano sui cantieri di Habitat for Humanity assieme alla sua Rosalynn con tanto di martello, tasselli, avvitatore dove trascorreva una settimana all’anno. Operazione pubblicitaria che gli consentiva di finanziare questa Ong e di costruire oltre 4’300 case in 14 Paesi. Il 1982 vide nascere ad Atlanta il “Carter Center” fondazione divenuta tra le più importanti nei campi dell’educazione, dell’agricoltura, dello sviluppo e della promozione della pace. Il monitoraggio delle elezioni, in tutto 115 in 40 Paesi, da Panama al Nicaragua, da Haiti allo Zambia fino alla Cisgiordania e Gaza, ne ha fatto un punto di riferimento della democrazia nel mondo. Campione comunque e forse per questo poco apprezzato dai fautori dell’America first: “Il nostro peggior presidente” sentenzia il politologo ultraconservatore Steven F. Hayward “imbarazzante nelle sue disastrose missioni di pace nel mondo”. Giudizio velenoso, ma Carter ovviamente con il suo “human rights first” ha creato non poche ostilità nei palazzi del potere.
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Con la moglie Rosalynn, 77 anni di matrimonio
Incidente o anomalia della storia americana per i suoi detrattori, soprattutto perché Carter non ha mancato di denunciare l’establishment, le incoerenze e il cinismo di Washington. Uomo di princìpi, intransigente sui diritti umani. Insospettabile nella sua incessante militanza per la pace in Medio Oriente, ha pagato consapevolmente la sua coerenza subendo una valanga di ruvidi attacchi dopo la pubblicazione nel 2006 di “Palestine, peace not apartheid”. L’uomo che aveva consentito a Israele di essere riconosciuto dal primo e più potente Stato arabo nel 1978 assumeva di colpo, agli occhi della destra del governo Netanyahu, le sembianze del traditore, sotto mentite spoglie un antisemita. E a corollario vi fu un calo dei contributi alla sua fondazione umanitaria. La pubblicazione del più controverso dei suoi 33 libri non scalfì comunque la sua determinazione.
Jimmy Carter rimarrà certamente un’anomalia nella storia degli Stati Uniti, ma agli occhi di tanti, americani e non, una bella anomalia. Il percorso di questo uomo del Sud, nato e cresciuto libero nell’America profonda della Bible Belt, quella più razzista, ferocemente restia alla concessione dei diritti civili ai neri, ha fatto dire a Gunner Berge, membro del comitato del Premio Nobel che “forse Carter non passerà alla Storia come il presidente più efficace, ma è sicuramente il miglior ex-presidente che il Paese abbia mai avuto”. Nel 1979, in un discorso televisivo, il 39esimo presidente aveva diagnosticato il male americano: “Vi è un percorso che conduce alla frammentazione e all’interesse personale. Lungo quella strada vi è un’idea sbagliata di libertà, il diritto di cogliere per noi stessi qualche vantaggio sugli altri”. Un’idea della missione americana, la sua, decisamente in contrasto con l’evoluzione che hanno seguito negli anni, gli Stati Uniti e le relazioni internazionali.
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Uno scatto recente