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‘Passo sei ore al giorno a cercare acqua per la mia famiglia’

La testimonianza di un giornalista palestinese a Gaza: ‘Sotto le macerie è pieno di cadaveri. Impossibile raccogliere rifiuti e riparare le reti fognarie’

‘Stiamo vivendo una nuova Nakba dopo 75 anni, una nuova enorme tragedia’
(Keystone)
17 ottobre 2023
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«Qui a Gaza la situazione è disumana, dalla scorsa settimana trascorro oltre sei ore al giorno a cercare bottiglie di acqua per me e la mia famiglia. Manca tutto: generi alimentari, farmaci, carburante. Le municipalità non sono in grado di muovere i propri macchinari per raccogliere i rifiuti e per riparare le reti delle fognature distrutte. Sotto le macerie degli edifici bombardati è pieno di cadaveri che se non verranno rimossi a breve provocheranno una crisi ambientale che peggiorerà le condizioni igienico-sanitarie. Il Ministero dell’interno ne stima almeno un migliaio da aggiungere ai morti ufficiali». La testimonianza è di Mohammed Sami, giornalista palestinese residente a Gaza. Lo abbiamo raggiunto ieri mattina al telefono per un aggiornamento sulla situazione nella Striscia al decimo giorno di assedio israeliano in risposta all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre. «Lo sente il rumore in sottofondo? – chiede Sami riferendosi a un forte ronzio –. È quello di un generatore che può funzionare perché un uomo è riuscito a trovare della benzina al mercato nero, altrimenti questa conversazione non potrebbe avere luogo». I bombardamenti di Israele, racconta il giornalista palestinese, «hanno distrutto diverse antenne di telefonia e il governo ha tagliato la corrente elettrica a Gaza. Inoltre continua a mantenere chiusi i valichi impedendo a qualsiasi bene essenziale di entrare e ai numerosissimi feriti di uscire per ricevere le cure che qui non sono più possibili. Ha anche razionato l’acqua potabile al 20% della quantità necessaria per la popolazione. La gente è assetata, e come me ci sono migliaia di persone che passano le giornate a cercare delle bottigliette. Ovviamente per bere, perché lavarsi è diventato un lusso».

‘Due terzi delle persone vivevano già sotto la soglia di povertà’

Personalmente, rilava Sami, «anche se ormai sono quasi completamente vuoti, ho la possibilità di andare nei supermercati per provare a comprare quello che si trova, questo grazie al fatto che lavoro e ho uno stipendio. Ma per la maggior parte delle persone di qui non è così. Da quando il popolo di Gaza si trova sotto il blocco terrestre, aereo e marittimo di Israele che controlla tutti i flussi alle frontiere – ovvero dal 2006, momento in cui Hamas ha vinto le elezioni legislative –, come risultato il 50 per cento delle persone è disoccupato e due terzi vivono sotto la soglia di povertà dipendendo dagli aiuti umanitari delle Nazioni Unite e delle Organizzazioni internazionali che distribuiscono cibo e altri beni primari». Si tratta di uno degli aspetti per cui la Striscia viene ormai definita per antonomasia ‘prigione a cielo aperto’.

‘Valichi chiusi come punizione collettiva’

Sami riferisce che gli ospedali della Striscia, tutti al collasso, hanno lanciato un appello all’Egitto per aprire il valico di Rafah – l’unico non controllato direttamente da Israele e dietro il quale attende oltre un centinaio di camion pieni di aiuti umanitari – per aiutare i migliaia di feriti palestinesi che non possono più essere curati dalle strutture sanitarie locali. Ma secondo il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukri, che ha ribadito l’urgenza di assistere la popolazione civile, Israele continua a mettersi di traverso. «Non vogliono far entrare o uscire nulla per Gaza come punizione collettiva – dice Sami –. D’altronde fin dall’inizio di questa guerra il ministro della Difesa israeliano ha dichiarato che i palestinesi sono degli animali umani».

Da quando dieci giorni fa sono iniziati i bombardamenti su Gaza, afferma Sami, «è subito risultato chiaro che la situazione era completamente diversa rispetto alle escalation precedenti. Il governo israeliano stavolta non si sta concentrando su stazioni di polizia o campi di addestramento per la resistenza palestinese, come dice di fare, ma sta radendo al suolo ristoranti, moschee e soprattutto interi palazzi residenziali. L’esercito israeliano continua a mentire affermando che l’obiettivo sia colpire le strutture dei gruppi armati palestinesi. Ma come possiamo credergli di fronte al fatto che prosegue il lancio di razzi dalla Striscia in modo indisturbato? Come possiamo credergli di fronte all’enormità di bambini e famiglie che le bombe di Israele stanno continuando a uccidere»? Per Sami si tratta solo di propaganda: «La verità è che vogliono colpire la popolazione per seguire un piano più grande. Fin dall’inizio l’operazione è stata impostata per preparare a un’invasione con lo scopo di radere al suolo ogni cosa».

‘Appoggiare l’esercito israeliano significa appoggiare il massacro di bambini’

Definito come assolutamente inaccettabile dal giornalista palestinese è il fatto che «tutti i governi della comunità internazionale che hanno accolto a braccia aperte i profughi ucraini, e che si appellano ai diritti umani e alla democrazia, ora di fronte alla strage di palestinesi chiudono gli occhi. Appoggiando l’esercito israeliano stanno appoggiando una carneficina di bambini e questo è vergognoso».

La conseguenza dei bombardamenti, oltre alle vittime – secondo il Ministero della sanità ieri il bilancio dei morti accertati a Gaza era di 2’800, quello dei feriti di 10’800 –, è l’intensificarsi di «un’ondata di profughi che hanno iniziato a riversarsi nelle scuole delle Nazioni Unite, dove però – denuncia Sami – non ci sono le condizioni quasi nemmeno per sopravvivere. Queste scuole non sono adibite per una situazione simile, mancano letti e materassi, le aule di studio sono stipate di gente, non ci sono viveri per tutti».

‘Non si fanno programmi oltre cinque giorni, nessuno sa se sarà ancora in vita’

Secondo Sami un’altra impostura propagandistica dell’esercito israeliano è l’invito agli abitanti di Gaza City di evacuare il nord e dirigersi verso sud per non trovarsi sotto attacchi di maggiore intensità: «A sud ci sono la stessa sofferenza e gli stessi pericoli. Tantissimi profughi vi si sono già riversati: chi in auto – se aveva ancora il carburante che Israele non fa più entrare –, chi con gli asini, chi a piedi perché mancano i trasporti. Il problema è che non ci sono minimamente le condizioni per l’accoglienza. Mancano i bunker e i ripari, le scuole delle Nazioni Unite sono strapiene, così come gli appartamenti privati messi a disposizione dalla popolazione con grande solidarietà. Io ho la fortuna di avere una seconda casa al sud dove sono stato raggiunto da tutta la mia famiglia. Intanto la gente pur di andar via dal nord ha preso a cercare qualsiasi riparo di fortuna, anche sotto gli alberi. Eppure dall’inizio della guerra un terzo delle vittime uccise sono state contate nel sud, quindi non è affatto un ambiente sicuro». A Gaza, commenta il giornalista palestinese, non si fanno programmi oltre i cinque giorni: «Nessuno sa fino a quando resterà in vita. Solo nell’ultima settimana ho perso sei cugini».

‘Mio padre vuole morire con dignità, non in una tendopoli’

Ad angosciare molto la popolazione palestinese, rende noto Sami, è anche la prospettiva della cacciata di massa dalla Striscia di Gaza. «Mio padre continua a dirmi che non vuole trascorrere il resto della sua vita nelle tendopoli, passando da un campo profughi all’altro. Vuole morire con dignità», racconta Sami, secondo cui il popolo di Gaza «sta vivendo una nuova Nakba». Nakba è l’espressione che usano i palestinesi per definire «la catastrofe che hanno vissuto nel 1948 quando sono stati sfollati dalle loro città e dai loro villaggi perché venisse costruito lo Stato di Israele. Oggi questo cataclisma si sta ripetendo di nuovo dopo 75 anni».

Voce dal Ticino

‘Fanno piazza pulita e il mondo sta a guardare’

«A Gaza è in corso un massacro – condanna dal canto suo anche Ibrahim Dasoki, membro dell’Associazione Svizzera-Palestina, da anni residente in Ticino –. Quello che hanno patito subito gli ebrei durante l’Olocausto lo stanno facendo vivere ora ai palestinesi. Purtroppo sembra che non abbiano imparato dalla tragedia che hanno subito in Germania». Per Dasoki è disdicevole che invece di prendersela con Hamas e le forze armate stiano facendo una strage di civili. «E la nostra Svizzera cosa fa? – chiede retoricamente –. Il Paese che vanta una tradizione umanitaria che ha dato vita alla Croce Rossa, il Paese depositario delle Convenzioni di Ginevra sostiene che Israele ha diritto di difendersi. Ma questa non è difesa, i palestinesi non hanno né aerei, né bombe potenti, mentre uno degli eserciti più forti al mondo sta distruggendo completamente Gaza, sta facendo piazza pulita per cancellarla dalla faccia della Terra. Due milioni di persone sono condannate a morte, alla fame e alla malattia e il mondo sta a guardare. Nessuno alza la voce, nessuno dice di smetterla. Dove sono i diritti dell’uomo? Non siamo umani noi palestinesi? Siamo forse animali, come dichiarato da Israele?», domanda Dasoki con voce rotta dall’emozione.

‘A 30 giorni di vita, in braccio a mia madre, sono diventato un profugo’

Il nostro interlocutore tiene però a sottolineare che il problema non è da ridurre a un conflitto tra religioni, ma una questione tra occupanti e oppressi: «Mia mamma mi raccontava che quando era giovane in Palestina aveva diversi vicini ebrei con cui andava molto d’accodo, partecipava alle loro feste e loro venivano a quelle della mia famiglia. Poi nel 1948 sono arrivati i sionisti con le armi a prendersi la Palestina. Dicevano che si trattava di una terra senza popolo da dare a un popolo senza terra. E hanno ucciso e cacciato innumerevoli persone. Una di loro sono io». Dasoki è nato in Palestina proprio nel 1948: «Quando avevo 30 giorni hanno distrutto la nostra casa, mia madre mi ha preso in braccio e siamo scappati prima a Gaza e poi in Giordania, dove ho vissuto tutta la mia gioventù nei campi profughi». Lì Dasoki ha frequentato le scuole dell’Onu e nel 1967 è andato in Italia a studiare per poi continuare la sua formazione in Svizzera dove è diventato radiologo: «Tra i posti in cui ho lavorato ci sono l’Ospedale La Carità di Locarno, dove ho esercitato per undici anni, e il San Giovanni di Bellinzona. Da palestinese so cosa vuol dire soffrire di un male e ho prestato con grande dedizione le mie cure alla popolazione ticinese. Ora però guardando la televisione mi sento terribilmente impotente e mi viene da piangere perché non posso fare nulla per aiutare il mio popolo».

sit-in a bellinzona

‘Distruggere un altro popolo non è difesa’

Ieri sera, alle 19, una cinquantina di persone si è riunita in Piazza Governo a Bellinzona per manifestare il proprio sostegno al popolo palestinese. «Con tutto il nostro cuore siamo col popolo palestinese che subisce un torto – ha detto il medico e deputato del Forum Alternativo Beppe Savary-Borioli –. Anzi, più che un torto subisce da decenni un crimine di guerra che adesso si accentua ancora di più, mentre i media mainstream parlano solo del diritto del popolo israeliano a difendersi. Ma cos’è questa difesa? Distruggere un altro popolo? No, quelli in corso a Gaza sono atti criminali e Netanyahu è un criminale di guerra». Savary-Borioli, ribadendo la solidarietà con il popolo palestinese, ha annunciato che prossimamente sarà lanciata una colletta, soprattutto in favore dei bambini: «Siamo in contatto con un’organizzazione palestinese in Italia e sappiamo che i soldi che manderemo loro saranno ben impiegati», ha assicurato il medico.

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