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Il muro di Berlino, la strada di Kiev

La riunificazione della Germania e la fine dell’impero sovietico celano alcune radici del conflitto in corso. Una serie approfondisce quella svolta

(Keystone)
30 luglio 2023
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La guerra in Ucraina ha una radice perduta: la caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989. È raro, però, che la guerra di oggi venga vista in questa prospettiva trentennale. Nella lettura delle notizie quotidiane la si riporta in fretta all’ansia di potere di Putin o a una diatriba territoriale tra ucraini e russi. Eppure, se vogliamo collocare in prospettiva l’attualità della guerra, dobbiamo fare un triplo salto: partire dalla caduta del Muro di Berlino, rimbalzare sulla fine del blocco dell’Est Europa e ricadere infine sullo scioglimento dell’Unione sovietica.

Note per chi non c’era

Per chi non ha vissuto il tempo del Muro, un piccolo riassunto: immaginiamo che una città come Milano o Zurigo venga divisa in due da un giorno all’altro, così anche il resto dell’Italia o della Svizzera. Non si può più andare da una parte all’altra: le strade sono tagliate da una linea di demarcazione, poi da una rete e infine da un muro. Fino alla sera di sabato 12 agosto 1961 i berlinesi potevano muoversi da Berlino est a Berlino ovest senza grandi limitazioni. La mattina di domenica 13 agosto 1961 trovarono tutti i passaggi sbarrati. Nessuno li aveva avvisati. Chi aveva genitori, parenti e amici dall’altra parte non poteva più vederli. I tram si fermavano in mezzo alla strada, oltre il Muro non potevano proseguire; le stazioni della metropolitana vennero chiuse. Ci vorranno anni, prima che si potessero chiedere permessi per passare. Persino telefonare, tra le due parti del confine, resterà quasi impossibile per almeno un decennio.

Nell’Europa divisa in due c’erano due Stati tedeschi: la Repubblica federale tedesca nella parte occidentale, fondata sulla società aperta e sull’economia di mercato; la Repubblica democratica tedesca (la ‘Germania Est’) nella parte orientale, governata da un regime a economia socialista. La Germania Est era ‘figlia’ dell’Unione sovietica, e lo era più di altri Paesi dell’Europa orientale. Le altre nazioni dell’Est Europa avevano una loro storia, prima della Seconda guerra mondiale. L’unico motivo per la nascita della Germania Est, invece, è la relazione con l’Unione sovietica.

L’importanza delle piccole cose

Quando si parla della fine dei regimi dell’Europa orientale e della caduta del muro di Berlino si dice spesso che i popoli aspiravano alla libertà: questa è stata la molla che ha fatto cadere la divisione del continente. È un argomento che ritorna anche a proposito della resistenza degli ucraini contro l’aggressione russa. Non è sbagliato, ma se vogliamo capire davvero, dobbiamo uscire dai luoghi comuni. Affermare che i popoli cercano la libertà, in astratto, non basta.

L’economia pianificata dei Paesi dell’Europa orientale non portava lo stesso benessere di cui era capace l’economia di mercato dei Paesi occidentali. Ma è così necessario avere vestiti alla moda, automobili moderne e altri oggetti tipici del benessere occidentale? Non è meglio avere l’ospedale gratis, il posto di lavoro assicurato, una vita sociale più distesa, non fondata sulla concorrenza costante fra gli individui? Così era la vita nei Paesi dell’Europa orientale, raccontano tanti che l’hanno vissuta.

Un governo può riuscire, per un certo tempo, a motivare una popolazione a rinunciare a beni elementari, mobilitandola verso la costruzione di un progetto politico. Poi però le delusioni continue, la mancanza di soddisfazioni anche banali, stufano. L’insinuarsi della politica e della mobilitazione ideologica in ogni angolo della vita ammorba la quotidianità.

Ecco cosa fa saltare i regimi dell’Europa orientale. Non i massimi sistemi della filosofia politica, non la ricerca astratta della libertà. Quando si incontrano cittadini dell’Europa orientale che hanno vissuto la fine dei regimi comunisti, non si sentono da loro grandi discorsi politici o filosofici sulla libertà. Parlano della mancanza di piccole cose quotidiane, che fanno la felicità, per dirlo con un’espressione banale ma efficace. Non sentirsi ogni giorno inferiori al resto del mondo, non essere presi di mira da slogan politici che compaiono a ogni angolo di strada. Perché chi nasceva nell’Europa orientale non poteva aspirare alla stessa normalità che si viveva nell’Europa occidentale?

Tra Honecker e Gorby

Nel 1985 in Unione sovietica sale al potere Michail Gorbačëv. I cittadini della Germania Est da quel momento sono attratti da due calamite: da una parte la Germania Ovest, con il suo benessere e i colori di una società aperta. Dall’altra, la novità di Michail Gorbačëv, che fa sperare anche loro in un’esistenza migliore, più facile e vivace.

Si accorgono però che i loro dirigenti non hanno alcuna intenzione di seguire i passi di Gorbačëv. Quando, nell’ottobre del 1989, a tre anni dall’inizio della Perestrojka in Unione sovietica, Gorbačëv visita Berlino per i quarant’anni dalla fondazione della Repubblica democratica tedesca, non è ancora cambiato nulla. Fuori dal palazzo, i cittadini urlano: “Gorby, Gorby” – Gorbačëv, Gorbačëv! – non “Honecker, Honecker”, l’allora leader dello Stato tedesco orientale. I dirigenti non possono più far finta di niente e nascondersi dietro la liturgia delle riunioni del Partito. A mezzanotte del 9 novembre 1989 tutti i passaggi tra le due parti di Berlino attraverso il Muro vengono aperti, sotto la pressione di una cittadinanza furiosa, dopo una giornata di totale confusione negli uffici governativi della Germania Est, muti e impotenti di fronte alla rabbia della popolazione.

La Germania sarà riunificata a ottobre 1991, undici mesi dopo la caduta del Muro di Berlino. I fatti successi nel 1990, tra la caduta del Muro e la riunificazione della Germania, non hanno cambiato solo la vita dei tedeschi. Forse, il 1990 è stato uno degli anni più alti della storia del nostro continente. Molti protagonisti diedero il meglio di sé. Politici più o meno nominati, non importa di quale partito o di quale Paese; diplomatici, funzionari, giuristi, consiglieri rimasti sconosciuti al grande pubblico. Era l’ultima generazione di uomini di Stato ancora attivi che avevano vissuto in prima persona la Seconda guerra mondiale.

La voragine sovietica

Il cammino che porta dalla fine del Muro di Berlino alla Germania riunificata lascia aperta una voragine: cosa sarà dell’Unione sovietica, che con la caduta del Muro e la riunificazione della Germania perde la sua principale zona d’influenza, i Paesi del Patto di Varsavia? Il patto, già traballante, si scioglie di lì a pochi mesi. Ancora poche settimane e anche l’Unione sovietica finisce, il 26 dicembre del 1991. Dalle sue ceneri nascono quindici nuovi Stati: le tre repubbliche baltiche di Lituania, Lettonia ed Estonia entrano nell’Unione europea; altre 11 si avviano all’indipendenza; la Russia tenta un cammino democratico con Boris Eltsin. Il tentativo fallisce il giorno in cui Vladimir Putin, la notte di Capodanno tra il 1999 e il 2000, assume ad interim la presidenza della Russia, che detiene sino a oggi.

È qui che lo scoppio della guerra in Ucraina, nel 2014, si salda con la prima scintilla che venticinque anni prima ne aveva acceso la miccia, la caduta del Muro di Berlino. Il 9 novembre del 1989 non cade solo la frontiera tra le due parti della Germania. Cade anche l’impero sovietico, l’ultimo impero d’Europa, diviso in due zone: in una, un «impero informale» composto dagli alleati di Mosca nell’Europa dell’Est, sino alle pendici del Muro di Berlino; nell’altra zona, un impero coloniale sui generis, l’Unione sovietica. Una federazione costruita da Lenin e Stalin sul territorio dell’Impero zarista, che si era allargato all’inverosimile sottomettendo popoli diversi, in secoli di guerre di conquista, dall’Europa all’Asia centrale, passando per il Caucaso. La federazione è tale solo sulla carta: nella realtà, Mosca mantiene ben saldo il suo pugno di ferro da Vladivostok a Kaliningrad. La storiografia russa presenta questo passato come un successo di civilizzazione, come se i popoli dell’impero zarista non aspettassero altro che essere ‘civilizzati’ dalla Russia.

False rappresentazioni, vere invasioni

Quando Vladimir Putin afferma – senza alcun fondamento storico ed etnologico – che russi e ucraini sarebbero, a suo dire, uno stesso popolo, lo fa sulla base di una memoria imperiale dura a morire: una falsa rappresentazione della Storia che annulla i popoli non russi scivolati nella sfera di dominio di Mosca. Per secoli la Russia ha tentato di russificare persone, lingue e culture dei territori sui quali si è estesa, anche nei Paesi dell’Est Europa che non hanno mai fatto parte formalmente dell’Impero russo. Così, anche in Cecoslovacchia, Romania, Germania Est e negli altri Paesi del blocco, durante la Guerra fredda, la lingua russa diventò un obbligo scolastico.

Il 9 novembre 1989 a Berlino non salta solo la frontiera tra le due Germanie, nel crollo del tragico simbolo del Muro di Berlino. Esplode la rabbia dei cittadini di tutta l’Europa dell’Est per le privazioni quotidiane e il grigiore di una vita imposta da un regime che toglieva loro il futuro. Anche oggi sbaglieremmo, se pensassimo che i cittadini ucraini vivono la resistenza contro la Russia come una lotta astratta per la libertà. Il loro obiettivo è molto concreto: sottrarre le loro vite alle ristrettezze materiali e di pensiero imposte dalla Russia e dalla sua parte di mondo, fatta di società chiuse e autocratiche. Come i cittadini della Germania Est che sfondarono il Muro di Berlino, gli ucraini di oggi guardano al futuro, al benessere e all’apertura dell’Occidente, chiedendosi perché a loro dovrebbero essere negati. Faremmo bene a non dimenticare che la loro battaglia è anche la nostra.

Sino al 4 agosto è disponibile su internet la serie in due videoepisodi di Luca Lovisolo: ‘Vi racconto la caduta del Muro di Berlino’. Tutti i dettagli sul sito www.lucalovisolo.ch

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