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I talebani arrestano il paladino dell’istruzione femminile

Matiullah Wesa, 30 anni, guidava una Ong con migliaia di volontari, l’Onu chiede spiegazioni

Matiullah Wesa con una libreria mobile (Twitter)

"Stiamo contando le ore, i minuti e i secondi fino a quando le scuole saranno riaperte alle ragazze. Il danno che la chiusura delle scuole provoca è irreversibile e innegabile": questo l'ultimo tweet, qualche giorno fa, lanciato da Matiullah Wesa, arrestato ieri dai talebani senza alcuna spiegazione e la cui missione era che le bambine e le ragazze afghane ricevessero un'istruzione degna del suo nome in un Paese nel quale questo diritto è loro negato da due anni e mezzo. Spiegazioni che invece la missione Onu in Afghanistan (Unama) ha chiesto a Kabul, senza ricevere per ora risposta.

Wesa, 30 anni, originario della provincia meridionale di Kandahar, è il fondatore e la guida dell'organizzazione Pen Path (Il sentiero della penna) che in tutto l'Afghanistan conta circa 2'400 volontari, da oltre un decennio dediti anima e corpo a promuovere l'istruzione alle donne, facendo campagne di sensibilizzazione nelle aree rurali più remote, o addirittura organizzando le classi e gli insegnanti e distribuendo libri, quaderni, matite e penne gratuitamente: un'attività il cui fervore non è diminuito nemmeno dopo il ritorno al potere dei Talebani nell'agosto del 2021 e la chiusura di scuole e università alle donne.

Il precedente

Un'attività simile a quella che svolgeva, in maniera più solitaria, Ismail Mashal prima del suo brutale arresto i primi giorni dello scorso febbraio: il quale, rilasciato dal carcere un mese dopo, non è stato più visto né sentito in pubblico. L'arresto di Wesa è avvenuto fuori da una moschea di Kabul dove ieri pomeriggio aveva pregato.

All'uscita ad attenderlo c'erano due uomini in abiti borghesi che lo hanno avvicinato e ammanettato, ha raccontato il fratello, Samiullah. "Quando Matiullah ha chiesto le loro carte d'identità, lo hanno picchiato e portato via con la forza", ha aggiunto. Poi la perquisizione alla sua casa: "Hanno messo tutto sottosopra, minacciato i suoi familiari perché non dicano nulla, sequestrato telefonini e computer", ha detto ancora Samiullah, che è stato egli stesso fermato e rilasciato dai Talebani con un rimprovero.

La sua battaglia

Wesa era convinto che le scuole prima o poi avrebbero riaperto le porte alle bambine e alle ragazze, anche dopo il dietrofront del marzo dello scorso anno, quando l'illusione che questo fosse accaduto durò lo spazio di qualche ora e le ragazze tornarono a casa piangendo.

Ufficialmente il bando del genere femminile da scuole e università, come dalla maggior parte dei lavori, dai parchi, dalle piscine, palestre e circoli, è una questione provvisoria: in attesa - dissero le autorità talebane di Kabul - del varo di una legge quadro che definisca le modalità delle attività femminili "nella stretta osservanza della Sharia e della tradizione afghana". Una promessa simile a quella fatta dai Talebani prima versione, che governarono con il pugno di ferro l'Afghanistan dal 1996 al 2001, ma che non portò nessuna novità.

Oggi si è fatta viva l'Onu: "L'Unama invita le autorità di fatto a chiarire quali siano le ragioni dell'arresto di Wesa, dove si trovi e di assicurare che abbia accesso a una difesa legale e possa contattare la famiglia", ha scritto in una nota la missione afghana.

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