laR+ l’allarme di unicef

Vita da bambine afghane. ‘Le nozze sì, la scuola no’

Saskia Kobelt: ‘Manca l’acqua potabile in molti villaggi. Si muore per una diarrea o saltando su una mina. A 6 anni i maschi già mandati a lavorare’.

Una classe femminile a Gardez (Unicef)
16 ottobre 2022
|

La vita del popolo afghano, in particolare quella di bambini e bambine, si fa sempre più dura sotto il regime talebano. Lavoro minorile, matrimoni combinati, mancanza delle infrastrutture igieniche di base impediscono alla società afghana di progredire. Ne abbiamo parlato con Saskia Kobelt di Unicef Svizzera.

Dottoressa Kobelt, in seguito all’invasione dell’Ucraina, l’Afghanistan è arretrato nelle attenzioni dei media. Com’è la situazione? Perfino terremoti e inondazioni passano sotto silenzio...

Lontani dalla comunità globale per via del congelamento dei finanziamenti e delle sanzioni e con pochi investimenti nello sviluppo, la vita in Afghanistan è precaria, soprattutto per i giovani. II Paese è in crisi ed è una crisi che tocca i diritti dei bambini. In primis le ragazze, a cui non è permesso di andare a scuola e neppure di uscire di casa senza un "mahram" (un accompagnatore, membro della famiglia, ndr), hanno paura di essere obbligate a sposarsi. I bambini muoiono di malattie che sarebbero altrimenti curabili. Disastri naturali, dalla siccità ai terremoti, portano i più svantaggiati a ulteriori privazioni. Una povertà che spinge i genitori a portare via i figli da scuola per impiegarli in lavori pericolosi. Più di metà del Paese, 24 milioni di persone, inclusi 13 milioni di bambini, hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. E capiamo l’impellenza di altre urgenze, come la guerra in Ucraina. Ma mentre la risposta è stata rapida e generosa, la crescita di fondi e attenzioni per l’Ucraina rischia di intrappolare i bambini nelle altre aree di crisi del pianeta, incluso l’Afghanistan. Sarebbe vitale che quel supporto fosse equamente distribuito a ogni bambino che ne ha bisogno. Un bambino è un bambino, non importa chi sia e di dove sia. Siamo da 70 anni in Afghanistan e abbiamo il supporto e la fiducia di questa gente, però non basta.

Come si sta comportando il regime talebano? Come vi rapportate con loro? Avete trovato un modo di collaborare con loro o sono un ostacolo?

La nostra priorità sono i bambini, e quindi noi collaboriamo con chiunque e dovunque pur di assolvere il nostro dovere. Unicef ha investito nel dialogo e la condivisione di programmi con i talebani ben prima dell’agosto 2021, quando presero il potere, quindi sapevamo già con chi coordinarci.

Come facciamo in molti altri Paesi, dialoghiamo con tutti. E in Afghanistan lo facciamo con chi ha l’autorità de facto per assicurarci che l’accesso agli aiuti umanitari sia rapido e con meno ostacoli possibili. Per noi contano l’attuazione dei programmi e che gli aiuti arrivino alla popolazione. Qui le autorità locali ci hanno permesso di accedere ai luoghi in cui ci sono i bambini in difficoltà. Il nostro lavoro non ci è stato impedito. Certo, non possiamo controllare le malattie come la polio e il colera e non possiamo implementare i programmi senza coordinarci o collaborare con chi detiene il potere. Noi proviamo in particolare ad attivare canali di dialogo che vanno direttamente al cuore delle comunità.


In coda per il vaccino anti-polio (Unicef)

In che modo il Covid ha influenzato il vostro lavoro?

Il Covid ha reso più profonda la crisi umanitaria in Afghanistan. Le restrizioni alla libertà di movimento e la chiusura delle attività ha reso ancora più povere le persone più deboli. Per oltre un anno e mezzo, gli studenti afghani sono dovuti rimanere a casa per la chiusura delle scuole. E quando finalmente stavano riaprendo, il caos in Afghanistan, ha portato a un’ulteriore chiusura. Noi monitoriamo il tutto da vicino, e l’Unicef, con l’Oms, lavora insieme alle autorità locali per arrivare a vaccinare l’80% dei 19 milioni di adulti afghani entro la fine dell’anno. Su un totale di 14,3 milioni di dosi di vaccini anti-Covid, noi ne abbiamo procurati 11,8 milioni, ovvero l’83 per cento.

In Afghanistan si lotta ancora con la malnutrizione e con malattie altrove già debellate. Parliamo di milioni di bambini. Cosa state facendo e cosa si può fare?

Si stima che 18,9 milioni di persone, circa la metà della popolazione afghana, abbia avuto o avrà seri problemi di accesso al cibo tra lo scorso giugno e il prossimo novembre: il 92% della popolazione non consuma abbastanza alimenti e il 90% delle entrate è speso in cibo; il consumo medio di frutta e proteine è crollato di circa la metà rispetto ai dati precedenti al 15 agosto 2021; 3 milioni di bambini sono a severo rischio di malnutrizione, la metà di loro non ha compiuto 5 anni; tra questi, un milione è in condizioni ancora peggiori. Inoltre, rispetto al giugno del 2021 c’è stato un incremento del 50% di casi di malnutrizione tra donne incinte o che allattano. Questo lascia presagire un’ondata di nascite premature e di neonati sottopeso, creando persone in difficoltà fin dai primi giorni di vita. In alcune aree, molte più bambine vengono ricoverate per casi di forte malnutrizione rispetto ai maschi, proprio per il retaggio culturale per cui il cibo migliore, o semplicemente più cibo, viene dato ai maschi.

Solo nel mese di giugno abbiamo controllato 1,2 milioni di bambini tra i 6 mesi i 4 anni e mezzo. Lo facciamo con unità mobili e un team di nutrizionisti. In estate abbiamo formato 6mila operatori sanitari nella gestione dei casi di malnutrizione acuta. Insieme ai nostri partner dell’Onu, incluso il World Food Programme, abbiamo raggiunto milioni di bambini salvandoli dalla malnutrizione. Con 171 unità mobili dell’Unicef siamo arrivati per la prima volta in ben 34 province.


Un bambino sorride dopo aver ricevuto un kit per l’inverno (Unicef)

Oltre 15 milioni di persone in Afghanistan non hanno accesso ad acque potabili. Per capirsi, è la stessa popolazione di Svizzera e Bulgaria insieme. Ci sono soluzioni nel breve o almeno nel lungo periodo?

L’Afghanistan sta vivendo la peggior siccità degli ultimi 37 anni. Otto persone su dieci bevono acqua contaminata con tutto quel che ne consegue, a iniziare dalla diarrea acuta.

Acque pulite, servizi sanitari di base e una corretta igiene sono essenziali per la sopravvivenza e lo sviluppo dei bambini. In Afghanistan, le malattie diarroiche sono la seconda causa di morte tra i bambini sotto i 5 anni dopo le infezioni respiratorie. La defecazione all’aperto continua a essere un problema perché gli escrementi umani vicino alle vie d’acqua e a luoghi abitati si diffondono velocemente mettendo i bambini e loro famiglie a rischio. Sebbene poco più dell’80 per cento delle famiglie abbia bagni o latrine, solo il 43% di questi può ritenersi sicuro, vale a dire che i rifiuti non vanno a contatto con le persone. Sviluppare un sistema fognario è parte fondamentale del nostro piano a lungo termine per il Paese.

In quali condizioni vivono le donne, in particolare le più giovani? Si racconta di abusi tali da far pensare che a malapena vengano considerate esseri umani.

Il commissario per i diritti umani dell’Onu Michelle Bachelet ha detto che ciò che sta accadendo in Afghanistan "è la più grave violazione dei diritti umani di donne e bambine di tutto il mondo". Parliamo dell’unico Paese in cui alle ragazze è vietato frequentare la scuola secondaria. Dal 15 agosto 2021, in un allarmante passo indietro per i diritti, oltre un milione di bambine tra i 7 e i 12 anni è stata bandita dalle scuole. Non è solo una violazione del diritto fondamentale allo studio, ma anche un modo per creare ansia, paura di un matrimonio precoce, andando incontro a sfruttamento e abusi. Tantissime adolescenti vengono lasciate a languire nelle loro case, privandole della scuola, dei loro amici, rendendole terrorizzate dal proprio futuro.

Ci sono padri, anziani e leader religiosi che si stanno facendo sentire sempre di più, aggiungendo le loro voci a quelle delle ragazze che vogliono frequentare la scuola secondaria. Vediamo l’impegno in alcune comunità nel voler tenere le scuole aperte per le ragazze in età da liceo, e ci sono molti sforzi e tentativi in atto a livello locale per continuare a farle studiare. Unicef fa la sua parte, ad esempio stampando e distribuendo 38 milioni di libri di testo, costruendo bagni nelle scuole e formando 1’200 donne insegnanti. Questo salto all’indietro sui diritti delle donne si ripercuote sullo sviluppo dell’Afghanistan e impatterà sulla società negli anni a venire. Nessun Paese può andare avanti lasciando metà della sua popolazione indietro.


Acqua pulita e sapone, grazie all’intervento dell’Unicef (Unicef)

I bambini afghani vedono o vivono cose (violenza, uccisioni, stupri…) che bastano per restare traumatizzati a vita. Come li aiutate?

Con il 90 per cento del Paese sotto la soglia della povertà, il peggio tocca sempre ai più giovani, che devono combattere per la sopravvivenza. Le famiglie sono distrutte dalla fame. Genitori indigenti arrivano a fare scelte disperate: abbiamo saputo di ragazzine scambiate per una dote, bambini obbligati a lavorare o semplicemente venduti.

Troppi piccoli afghani sono stati testimoni di scene che nessun bambino dovrebbe mai vedere. Crescono così adolescenti pieni di ansie e paure: molti tra loro hanno un disperato bisogno di aiuto a livello psicologico. Da quando è terminata la guerra e le aree precedentemente chiuse sono state riaperte, una delle conseguenze più disgraziate riguarda i bambini che giocano nelle aree in cui c’è ancora in giro materiale esplosivo. Vediamo così un incremento di morti e feriti tra i bambini. In alcune zone è la prima causa di morte tra i bambini afghani.

L’Afghanistan è uno dei Paesi del mondo con il terreno maggiormente contaminato da armi inesplose: l’80 per cento degli incidenti riguarda i bambini. Nei primi sei mesi del 2022, l’Onu ha ravvisato che su 288 incidenti riguardanti bambini, ben 232 (l’81%) erano causati da esplosivi, mine e materiale bellico rimasto sul terreno.

Lavoro minorile e matrimoni combinati: se ne parla spesso, ma se ne sa poco.

Abbiamo sempre più notizie di famiglie povere che arrivano a decisioni strappacuore pur di continuare a sopravvivere. Non abbiamo dati nazionali certi ma vediamo sempre più bambini obbligati a lavorare; le figlie vengono fatte sposare o vendute per pagare i debiti. La percentuale di spose bambine ha toccato il 28%.

Stando a un questionario diffuso tra 890 nuclei familiari, il 9% degli intervistati "stava pianificando o aveva già organizzato" un matrimonio delle figlie prima del previsto per pura sopravvivenza. In alcune comunità, inoltre, la pratica delle spose bambine è abbastanza comunemente accettata. Il lavoro minorile è un fenomeno ancor più presente: il 13% delle famiglie interpellate ha almeno un figlio tra i 6 e i 17 anni che lavora in attività extra-familiari per puro sostentamento. Unicef ha un programma specifico per questi bambini e le loro famiglie.


Distribuzione del cibo a Herat (Unicef)

Si vede una luce in fondo al tunnel? C’è qualcosa che ci può lasciare uno spiraglio di ottimismo per il futuro dell’Afghanistan?

Speranza, cauto ottimismo sono nel Dna dell’Unicef. È ciò che facciamo ed è ciò che siamo. Se non avessimo speranza non potremmo lavorare in posti del genere. Da oltre 70 anni siamo in Afghanistan, e indipendentemente dalle circostanze, guerre e disastri naturali inclusi, non abbiamo mai mollato. Le parole delle autorità de facto alla famosa conferenza stampa dell’agosto 2021 non si sono ancora completamente trasformate in realtà. L’Unicef ha bisogno di 2 miliardi di dollari per soddisfare i bisogni più immediati dei bambini. Si tratta del più grande appello mai fatto dall’Unicef per un singolo Paese nei suoi 76 anni di storia.

La nostra priorità non è salvare vite oggi, ma assicurarci che le comunità locali possano avere un supporto duraturo. Un impianto per l’acqua a energia solare, per esempio, non garantisce solo acqua pulita oggi, ma un aiuto per il futuro. La comunità mondiale deve mettere i bambini davanti a tutto e depoliticizzare gli aiuti umanitari.

Sarebbe crudelmente ironico se, dopo anni ad aver cercato di assicurarci l’ingresso nel Paese e dopo aver trovato bambini non vaccinati, che non sono mai andati a scuola o non si sono mai lavati le mani sotto un rubinetto, non avessimo poi i programmi e gli strumenti per sostenerli.

Se la raccolta fondi dovesse ristagnare, le vite dei bambini sarebbero in grave pericolo e noi dovremmo rivedere i nostri programmi al ribasso. Siamo preoccupati perché si avvicina l’inverno, una stagione in cui i bisogni dei bambini e delle loro famiglie inevitabilmente aumentano.


Hula-hop (Unicef)

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE