Mistero sulla frase del procuratore generale alla vigilia di nuove proteste di piazza. Demolita la casa di una scalatrice che gareggiò senza velo
‘La polizia morale è stata abolita’. Le sibilline parole del procuratore generale iraniano alla vigilia dell’ondata di nuove proteste che domani vedranno scendere in piazza gli studenti e gli attivisti, diventano un caso. Rimbalzano in tutto il mondo e appaiono come un segnale di apertura. Ma Teheran tace tutto il giorno e nessuno conferma che la durissima forza morale, nelle cui mani è finita a manganellate anche la vita di Mahsa Amini, sia stata soppressa. "La polizia morale non ha niente a che fare con la magistratura, ed è stata abolita da chi l’ha creata", ha detto il procuratore Mohammad Jafar Montazeri rispondendo a una domanda sul perché il famigerato corpo fondato da Ahmadinejad nel 2006, non si veda più in giro per le strade.
Parole che, oltre a non essere confermate dal regime, lasciano aperti molti dubbi e interpretazioni distanti da una volontà dell’Iran di cambiare passo sulla repressione. Al Jazeera e la tv iraniana Al-Alam si limitano a commentare che non c’è nessuna conferma all’annuncio mentre sui social si rincorrono post di attivisti e osservatori secondo cui si potrebbe anche trattare solo di un diversivo, alimentato dalla propaganda, per calmare la tensione. Come l’annuncio, dato ieri, che le autorità di Teheran stanno esaminando il tema del velo obbligatorio, miccia da cui sono partite le proteste dopo l’uccisione della ragazza curda. Il Parlamento e il Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale hanno detto che stanno studiando e lavorando alla questione e che faranno sapere i risultati entro breve, nel giro di un paio di settimane, ma senza lasciare intendere in che direzione. Sulla questione della polizia morale, non è da escludere che le parole del procuratore possano anche essere interpretate come l’annuncio solo di una revisione e riorganizzazione del corpo in un momento in cui ci sarebbero attriti e divisioni tra le autorità del Paese.
Alla vigilia di una protesta verso cui Teheran, solo ieri, ha ribadito ‘tolleranza zero’, quello del velo obbligatorio è un tema estremamente delicato. A scontrarsi ci sono due visioni antitetiche: i conservatori legati alla legge del 1983 che l’ha imposto e i progressisti che vogliono dare alle donne la libertà di scelta. Dalla rivoluzione islamica del 1979 che rovesciò la monarchia iraniana sostenuta dagli Stati Uniti, le autorità hanno monitorato che venga rispettato il rigoroso codice di abbigliamento per donne e uomini.
Militari iraniani durante una parata (Keystone)
Ma è sotto l’intransigente presidente Mahmoud Ahmadinejad, che la polizia morale - conosciuta formalmente come Gasht-e Ershad - viene istituita per "diffondere la cultura del pudore e dell’hijab". Le unità sono state istituite dal Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale dell’Iran, oggi guidato dal presidente Ebrahim Raisi. Hanno iniziato i loro pattugliamenti nel 2006 per far rispettare il codice di abbigliamento che richiede anche alle donne di indossare abiti lunghi e vieta pantaloncini, jeans strappati e altri vestiti ritenuti immodesti. Un codice che Mahsa aveva violato, indossando l’hijab ma lasciando fuori ciocche dei suoi capelli. Quanto basta per essere punita, secondo la denuncia della sua famiglia, dalla polizia che l’ha ridotta in fin di vita parlando solo di problemi di salute della giovane dopo la sua morte per le percosse. Dal quel giorno un’ondata di mega manifestazioni, represse nel sangue, ha attraversato il paese, in particolare i grandi centri urbani e le zone curde, con un bilancio di almeno 448 persone uccise, tra cui 60 di età inferiore ai 18 anni e 29 donne, secondo l’ultimo rapporto dell’ong Iran Human Rights (Ihr) con sede a Oslo. E già 14 mila arresti per le Nazioni Unite, mentre domani si attendono nuove proteste, malgrado l’avvertimento del regime ai manifestanti a non scendere in piazza.
È stata abbattuta la casa della famiglia della scalatrice iraniana Elnaz Rekabi, l’atleta balzata a ottobre agli onori della cronaca per non aver indossato il velo mentre gareggiava ai campionati di arrampicata sportiva a Seul. Un gesto costato caro all’atleta, che le autorità di Teheran hanno interpretato come un sostegno alle manifestazioni indette dopo la morte di Mahsa Amini il 16 settembre. Rientrata a Teheran Rekabi era stata acclamata da una folla di migliaia di persone che la aspettava all’aeroporto, ma difronte alla tv di stato aveva affermato di aver gareggiato senza velo inavvertitamente e di non aver fatto nessun gesto simbolico o politico. Quindi era stata posta ai domiciliari.
A diffondere la notizia della demolizione è stato l’organo di informazione anti-regime IranWire. Un attivista ha condiviso su Twitter alcune immagini dove oltre alle macerie vengono inquadrate delle medaglie, mentre il fratello della campionessa, Davood anche lui scalatore, piange. "Questo è il risultato della vita in questo Paese. Un campione con chili di medaglie per questo paese" che "ha lavorato sodo per rendere orgoglioso questo paese. Hanno demolito una casa di 39 mq e se ne sono andati. Cosa posso dire?", afferma una voce fuori campo la cui identità non è nota, scrive la Cnn.
Un giornale con la copertina sulla vicenda Rekabi (Keystone)
La mossa del regime verso la campionessa è in linea con quanto annunciato dal Consiglio di sicurezza iraniano che in vista di una nuova mobilitazione degli attivisti per tre giorni dal 5 al 7 dicembre, Giornata nazionale degli studenti universitari, ha annunciato che "le forze di sicurezza, con tutta la loro forza e senza tolleranza, faranno fronte a ogni nuova rivolta, che finora è stata sostenuta dai servizi di intelligence stranieri". Nella nota, citata da Irna, si invitano gli studenti, i partiti politici, i gruppi, gli attivisti che operano via social network a "essere vigili su quanto trama il nemico e a respingere le rivolte collaborando con il governo, per instaurare un dialogo politico volto a riformare alcune questioni".