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Il Marocco e la carica delle sindache

Effetto domino dopo il trionfo elettorale del partito del miliardario Akhannouch. In tre guideranno le tre città principali: Rabat, Casablanca e Marrakech

Una donna al voto sotto la foto del re del Marocco (Keystone)
14 settembre 2021
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Il mondo arabo, come ogni mondo, contiene infiniti mondi. Da una parte l’Afghanistan, con il ritorno dei talebani e le studentesse bardate nel burka costrette a seguire le lezioni a volto coperto, sempre che ci sia - di qui a un po’ - posto per loro nelle scuole e nelle università. Sempre che ci sia un posto diverso dalla casa di un padre, di un marito. Dall’altra parte il Marocco, che - proprio alla fine dell’estate - vede sbocciare alcuni fiori seminati lungo le primavere arabe altrui e sopravvissuti a questo lunghissimo inverno democratico che oggi investe non solo l’Afghanistan, ma anche la Tunisia, la Libia, l’Egitto, la Siria.

Svolta epocale

Dopo una tornata elettorale che ha sconvolto gli equilibri politici del Paese nordafricano, per la prima volta saranno tre donne a guidare le tre città più importanti del Marocco: la capitale amministrativa Rabat, l’iconica capitale commerciale Casablanca e quella turistica, Marrakech.

Ad aprire loro le porte dei municipi che contano e pesano sull’agenda del Paese è stata la débâcle del partito islamista al governo, il Pjd (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), formazione vicina ai fratelli musulmani e uscita dalle elezioni con le ossa rotte: basti pensare che è passato, alla Camera, da 125 seggi ad appena 13. Era al potere esattamente da dieci anni, quando vinse un’elezione particolare, quella che si è tenuta nel bel mezzo delle primavere arabe, segnata - tra le altre cose - da alcune concessioni costituzionali fatte dal Re.


Operazioni di voto a Casablanca (Keystone)

La sconfitta netta del Pjd è la fine di un percorso considerato evidentemente troppo di retroguardia da una società che – come spesso accade – si trova più avanti della politica che la rappresenta. Il tema dei diritti civili e della parità di genere, almeno nelle città, è molto più sentito in Marocco di quel che era stato percepito da chi quel Paese lo guidava.

A intercettare umori e malumori, come spesso accade (da Berlusconi a Trump) è stato un ricco businessman locale, Aziz Akhannouch, ora incaricato dal re Mohammed VI a formare un nuovo governo: due miliardi di dollari di fortune personali e una quota di maggioranza nella holding Akwa (energia, media, immobiliare…), con il suo partito centrista Rni (Raggruppamento nazionale degli indipendenti) è risultato infatti primo con 102 seggi, mettendo in fila una serie di storie e candidati che danno l’idea del cambiamento in atto, a partire dall’elezione di Al-Shenety, un disoccupato senza alcuna esperienza in politica che in un collegio uninominale ha sconfitto il ministro del lavoro uscente Mohamed Amkraz.

Storie diverse

Alle urne si sono incrociate anche le storie - inevitabilmente diverse - delle tre neosindache, a partire da Nabila Rmili, che ha sfruttato la sua precedente esperienza politica, ma anche la popolarità dovuta a un’ottima gestione dell’emergenza Covid come direttrice regionale della Sanità a Casablanca, ruolo a cui era arrivata partendo come giovane medico dello sport. In questi ultimi mesi era diventata una sorta di eroina in città, capace di mettere in piedi in fretta e furia i “vaccinodromi” che hanno contribuito a rispondere rapidamente all’aumento dei contagi dovuti alla variante Delta. L’ultima struttura, tirata su in sei giorni, era stata inaugurata lo scorso mese d’agosto sotto la sua responsabilità alla periferia di Casablanca. Proprio a Casablanca occuperà la poltrona più prestigiosa grazie alla netta maggioranza della coalizione composta dal suo partito (Rni), dallo storico Istiqlal (Partito dell’Indipendenza) e del Pam (Partito dell’autenticità e della modernità).


Aziz Akhannouch, miliardario e ora primo ministro del Marocco (Keystone)

Per Fatima Zahra Mansouri, 45 anni, avvocato, il ruolo di sindaco a Marrakech non è invece una novità. Si tratta infatti di una classica “figlia di”, con la strada verso la politica resa spianata da un padre che è stato governatore di Marrakech e ambasciatore del Marocco negli Emirati Arabi Uniti. Anche grazie al suo cognome e a tutti i vantaggi ad esso collegati nel 2009 era diventata la prima donna sindaco della città e la seconda del Marocco dopo Asmaa Chaabi (stesso partito, il Pam) che, nel 2003, prima assoluta, vinse le elezioni a Essaouira.

Nel 2014 Forbes inserì Mansouri, poliglotta, con specializzazioni in Francia e a New York (facilitate dal ruolo del padre), tra le venti giovani donne più influenti d’Africa. Due anni dopo, l’ondata conservatrice portò al suo posto un sindaco tradizionalista del partito filo islamista. Oggi Mansouri torna con la certezza che il quadro sociale si è spostato su posizioni a lei più affini.

Cronista politica del giornale moderato L’Opinion, Asmaa Rhlalou, 40 anni, è invece la prima donna a guidare il municipio di Rabat. Ex deputata alla Camera dei Rappresentanti durante la scorsa legislatura è una delle esponenti di spicco del partito che ha vinto le elezioni. Prima segretaria donna della Camera, ha saputo guadagnarsi la stima di molti - avversari compresi - per la capacità di gestire un ruolo considerato non semplice.

Ironia della sorte, le tre nuove sindache sostituiscono tre uomini del partito islamista sconfitto in tutti i sensi: nemmeno un suo rappresentante è stato rieletto (dai 125 seggi ottenuti nel 2016), e fra i tredici candidati che sono riusciti a entrare in Parlamento ben nove sono donne.

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