Estero

La Bielorussia torna in piazza, fioccano gli arresti

A Minsk, l'onda è stata più corposa. Tanta rabbia contro il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, definito ‘ultimo dittatore d'Europa’

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6 settembre 2020
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Il 29esimo giorno dopo le elezioni presidenziali, la Bielorussia è scesa nuovamente in piazza per manifestare la sua rabbia contro il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, definito "ultimo dittatore d'Europa", e il suo governo.

A Minsk, come sempre, l'onda è stata più corposa. Oltre 100mila persone, stando a Interfax. Nella capitale, nonostante il maltempo, i cittadini hanno sfilato per ore nelle strade del centro, presidiato dagli agenti della polizia e dalle truppe del ministero dell'Interno, in tenuta antisommossa. E poi blindati, cannoni ad acqua, camion e filo spinato. Un muro d'acciaio invalicabile che ha bloccato i manifestanti, come la settimana scorsa, e ha impedito loro di raggiungere palazzo Indipendenza, residenza di Lukashenko.

Il clima, come sempre, è stato gioioso e pacifico, in un tripudio di bandiere bianco-rosse, simbolo dell'opposizione. Questo naturalmente non ha evitato i fermi, a volte persino brutali, da parte delle forze dell'ordine. Almeno un centinaio, secondo il ministero dell'Interno (tra cui due giornalisti, dice il centro per i diritti umani Viasna). I reporter peraltro sono stati ancora una volta oggetto di vessazioni da parte delle autorità, attraverso la tecnica del controllo delle credenziali.

La Tass, ovvero l'agenzia di stampa statale russa, ha riportato che i poliziotti hanno chiesto ai giornalisti di portare il corsetto con scritto PRESS e di "non avvicinarsi" al palazzo presidenziale. Che poi era l'obiettivo dei manifestanti. Qui si sono avuti i momenti di massima tensione, con l'uso da parte della polizia degli spray lacrimogeni (capace di generare un brevissimo fuggi fuggi e, subito dopo, un bel coro di "fascisti").

In mezzo al corteo, applauditissima, c'era Maria Kolesnikova, responsabile della campagna presidenziale del candidato (non ammesso) Viktor Babaryko e poi alleata di Svetlana Tikhanovskaya. Ovvero una delle poche figure dell'opposizione a non essere fuggita in esilio. Gli slogan, molteplici, spesso si sono concentrati sul presidente Lukashenko - "Sasha non abbiamo bisogno di te" e "è ora di andarsene" - mentre il motto della giornata è stato "uno per tutti e tutti per uno". Qui e là, per la prima volta, sono poi comparsi striscioni apertamente anti-russi. In particolare, un cartellone diceva chiaramente "no all'integrazione con Mosca". E qui la faccenda potrebbe farsi rovente.

Non è un segreto, infatti, che il presidente russo Vladimir Putin abbia spinto moltissimo per rafforzare il trattato sullo Stato dell'Unione e che Lukashenko, al contrario, abbia resistito. Ora però ha finito le frecce nella faretra. Il rischio è che, nel corso dell'imminente visita a Mosca, possa finalmente firmare l'accordo (in cambio, ovviamente, di un sostegno incondizionato del Cremlino). In quel caso per l'opposizione bielorussa sarebbe game over.
 
 

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