Estero

Sembra fatto l'accordo europeo

Al quarto giorno di negoziati, i capi di governo a un passo dall'intesa sugli aiuti ai Paesi più colpiti dal coronavirus

20 luglio 2020
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Si avvicina l'intesa al vertice europeo sul Recovery Fund. Il traguardo però non è ancora raggiunto perché, come recita l'adagio europeo, "nulla è concordato fino a quando tutto è concordato".

La cautela è di dovere, come ha sottolineato Emmanuel Macron. Ma il "quadro per un possibile" compromesso c'è, ha evidenziato Angela Merkel. Una cornice disegnata a costo di un'estenuante mediazione, che la tedesca e il francese hanno compiuto prendendo per mano il presidente del Consiglio Charles Michel, anche lui "convinto" che un risultato sia alla portata, nonostante "gli ultimi passi siano i più difficili".

Un punto fermo è stato messo sulla madre di tutte le battaglie, il Recovery Fund. La dotazione complessiva del piano per sostenere i Paesi più colpiti dal passaggio del Covid-19 resta fissata a 750 miliardi di euro.

E dopo varie oscillazioni (da 500 a 450, a 400) l'asticella della quota di sussidi si è fermata a 390 miliardi di euro, con la Resilience e Recovery Facility - il cuore del Fondo per il rilancio economico che viene allocato direttamente ai Paesi secondo una precisa chiave di ripartizione - a 312,5 miliardi (un po' più dei 310 previsti dalla Commissione, un po' meno dei 325 della proposta Michel di sabato).

La sforbiciata riduce invece i trasferimenti spacchettati tra i programmi, 77,5 miliardi (rispetto ai 190 miliardi pensati dalla Commissione). Tra le altre voci, a farne le spese, anche il Fondo a sostegno della transizione verde.

Il bilancio europeo 2021-2027 resta fissato a 1.074 miliardi di impegni. Ma vengono accontentati i cosiddetti paesi "frugali" con i rimborsi. Alla Danimarca vanno 322 milioni annui di rimborsi; all'Olanda 1,921 miliardi; all'Austria 565 e alla Svezia 1,069 miliardi.

Risolta anche la spinosa questione della governance sull'attuazione delle riforme dei piani nazionali che dovranno essere presentati dai Paesi per avvalersi delle risorse. La chiave di volta è stato un super-freno di emergenza emendato, oggetto di un negoziato durissimo tra il premier italiano Giuseppe Conte e quello olandese Mark Rutte.

In sostanza, i piani presentati dagli Stati membri saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, in base alle proposte presentate dalla Commissione. La valutazione sul rispetto delle tabelle di marcia e degli obiettivi fissati per l'attuazione dei piani nazionali sarà affidata al Comitato economico e finanziario (Cef), gli sherpa dei ministri delle Finanze.

Se in questa sede, "in via eccezionale", qualche Paese riterrà che ci siano problemi, potrà chiedere che la questione finisca sul tavolo del Consiglio Europeo prima che venga presa qualsiasi decisione.

Restano tuttavia ancora delle insidie. Per questo, nonostante gli slittamenti della plenaria per lasciar spazio al lavoro di tessitura, alla ripresa dei lavori i 27 leader si sono ritrovati ancora una volta a negoziare, con la prospettiva di scivolare nella notte e trasformare questo summit nel più lungo in assoluto della storia dell'Unione. Un vertice che verrà comunque ricordato come spartiacque per la decisione di mettere in comune il debito.

Il tema più controverso ancora ballerino è quello della condizionalità sullo stato di diritto, che vede l'ungherese Viktor Orban e il polacco Mateusz Morawiecki pronti alla guerra totale pur di annacquare il più possibile qualsiasi legame tra esborsi finanziari dal Bilancio 2021-2027 e rispetto dei valori democratici fondanti.

Proprio su questo punto i paesi "frugali" potrebbero avere la tentazione di far saltare il banco, dopo aver cercato più volte di far deragliare i lavori della terza notte di vertice (quella tra domenica e lunedì) sviando il focus del dibattito su questo argomento. Un tema nobile che in caso di un 'no deal' li salverebbe dall'onta di non aver voluto tradurre le dichiarazioni sugli aiuti economici in solidarietà concreta verso Paesi economicamente più deboli.
 
 

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