Estero

L'Italia, la Commissione europea e i sogni infranti del governo

Dopo l'invito ad aprire una procedura d'infrazione per deficit eccessivo, è improbabile che il programma di governo si possa ancora realizzare.

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5 giugno 2019
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Per la seconda volta in meno di un anno, la Commissione europea ha chiesto di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia. L’esecutivo continentale rimprovera al governo Conte “l’assenza di politiche di bilancio prudenti”; ovvero di non avere rispettato gli accordi sulla riduzione del debito pubblico, che anzi continua a crescere: quest’anno potrebbe sfiorare il 134% del Pil, contro il 60% raccomandato dal patto di bilancio. Anche il deficit annuale rischia di arrivare al 2.5%, anche perché la crescita del Pil, se ci sarà, potrebbe essere ben al di sotto dell’1% sul quale contava il budget (0,3%, per l’Istat). Insomma: i conti dell’Italia continuano a deteriorarsi, e la Commissione ne teme l’instabilità.

Sanzioni lontane

Non è detto che poi la procedura venga davvero avviata, ed è assai improbabile che sfoci in sanzioni e ‘commissariamenti’ (non è mai successo, nonostante all’apertura della pratica siano già stati sottoposti tutti i Paesi membri, a parte Estonia e Svezia). L’anno scorso il ministro dell’Economia Giovanni Tria era riuscito a cavarsela con qualche ritocco al bilancio. Perché il sistema si metta davvero in moto, poi, ci vorrà il ‘sì’ del Consiglio dell’Ue, nel quale siedono i ministri delle Finanze dei Paesi membri. L’Italia ha un mese di tempo prima del verdetto.

Tagliare il tagliabile

Secondo quanto riportato da ‘Huffington Post’, ieri Tria e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbero preparato un messaggio urgente per Bruxelles impegnandosi a ridurre il deficit al 2,1%. Per riuscirci, però, dovranno ridurre ulteriormente le risorse per il già magro reddito di cittadinanza e per ‘Quota 100’, la riforma che prometteva di ridurre l’età pensionabile rispetto agli attuali 67 anni. Sono a rischio anche i fondi per il sostegno alla famiglia e alla crescita. In pratica, a perdere risorse sono soprattutto le misure-bandiera dei Cinquestelle, segno dei mutati equilibri politici all’interno del governo (sebbene il traguardo si allontani anche per la ‘flat tax’ tanto cara a Salvini). Mentre non è un caso che la Commissione abbia atteso le elezioni europee prima di contestare i conti italiani: prima temeva che la ‘voce grossa’ avrebbe ulteriormente irrobustito la popolarità del nazionalismo salviniano.

Vittoria di Pirro

Proprio il trionfo di Salvini rischia di tramutarsi in una sconfitta per l’Italia a Bruxelles: chiusa fuori dai gruppi parlamentari che si spartiranno il nuovo potere – popolari, socialisti, liberali e forse verdi – e rifutata perfino dai Brexiteer di Nigel Farage, la Lega non potrà influire sulle nomine della nuova Commissione. Idem i grillini. È dunque improbabile che dopo l’estate l’Italia troverà interlocutori più accomodanti. Intanto starà soprattutto al Capitano – con Conte e Tria mandati avanti come canarini in miniera – capire come combinare la retorica anti-Ue con le aspettative di quel ‘Nord produttivo’ che è pur sempre lo zoccolo duro del partito, e che di uscire dal mercato e dalle filiere comunitarie non vuole saperne.

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