Estero

'Latitanza mafiosa favorita dai servizi segreti deviati'

È quanto sostiene il sostituto procuratore della anti-mafia, Nino Di Matteo, a proposito del capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro

Un identikit di Matteo Messina Denaro fatto dalla polizia italiana
1 ottobre 2018
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La lunga latitanza di Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993, considerato il nuovo capo del capi di Cosa Nostra, dopo la morte di Toto 'u curtu' Riina, sarebbe stata favorita dai servizi segreti deviati, presenti nelle tante, troppe, oscure vicende italiane: stragi, attentati e delitti eccellenti. Lo sostiene Nino Di Matteo, per lunghi anni inquirente a Palermo, attualmente sostituto della Dda nazionale.

Il magistrato più blindato d'Italia, in quanto nel mirino di Cosa Nostra, per aver indagato (e ottenuto lo scorso 20 aprile numerose condanne fra cui alcuni stellette delle forze dell'ordine) sui rapporti tra Stato e mafia. Il convincimento del magistrato rappresenta uno dei  passaggi più significativi del volume 'Il processo Stato-mafia nel racconto di un suo protagonista' scritto assieme a Saverio Laudato, giornalista che da sempre di occupa di mafia, antimafia e Sicilia. Si viene a sapere che Matteo Messina Denaro, capo dei capi della mafia, “rampollo di una famiglia con quattro quarti di nobiltà mafiosa” in una intercettazione telefonica dice che “Di Matteo è andato troppo avanti con le sue inchieste”. Ecco, quindi, il commento del magistrato sulla latitanza del capomafia, cercato a lungo anche in Svizzera, soprattutto in Ticino, dove avrebbe fatto prelevamenti  grazie alle carte di credito di banche di Lugano, messe a disposizione del mafioso locarnese (di nascita) Domenico Scimonelli (in carcere a Trapani dove sta scontando l'ergastolo e 17 anni per favoreggiamento a favore della primula rossa): ''Temo la copertura di ambienti deviati delle istituzioni che hanno ragione di temere, sapendo di quali terribili segreti è a conoscenza, che un giorno possa decidere di vuotare il sacco''.

Matteo Messina Denaro, condannato all'ergastolo per le stragi del 1993 a Firenze e a Milano, era stato incaricato da Toto Riina di compiere l'attentato a Nino Di Matteo. Era già stato acquistato il tritolo, oltre due quintali di esplosivo. Il modo di operare sarebbero  dovuto essere identico alle stragi di Capaci e via D'Amelio, in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il fatto che la primula rossa non aveva dato seguito ai suoi ordini, aveva indotto ''u curto'' ad avere un ripensamento su Denaro Messina, come si apprende da una intercettazione ambientale del 4 settembre 2013 nel carcere di Opera (Milano): ''...'è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta ... Si è messo a fare la luce ... Fa luce. Ma non rispetta gli ordini. E a noi ci tengono in galera, sempre in galera, però, quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare...''. 

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