laR+ La recensione

L’anatra all’arancia, ricetta eterna della commedia all’italiana

Dalle interpretazioni di Emilio Solfrizzi e Carlotta Natoli, una nuova vita per un classico. Piace la mano ferma di Claudio Gregori, che dirige

Visto al Cinema Teatro Chiasso. Il 23 e 24 gennaio al Teatro di Locarno
23 gennaio 2025
|

Le storie di corna piacciono sempre. Intramontabili ma mai stantie, i tradimenti restano la linfa vitale della commedia all’italiana. ‘L’anatra all’arancia’, con la regia di Claudio Gregori, ne è la testimonianza vivente, sebbene nasca originariamente in Inghilterra, prima di approdare in Italia. Dopo la tappa di ieri al Teatro di Chiasso, la pièce calcherà il palco del Teatro di Locarno stasera e domani, dimostrando come un classico del Vaudeville possa ancora tenere il pubblico sul filo del rasoio. Il piatto da cui prende il titolo la commedia è un espediente attraverso il quale si svela un intreccio che, a guardar bene, non parla tanto di sentimenti quanto di gioco, potere, e del desiderio di lasciare la propria impronta su qualcosa che, in fondo, è già destinato a rompersi. La scenografia sul palco non scivola mai nel cliché del ‘vintage’ per nostalgia, ma resta sospesa nel tempo. Una commedia che ci ricorda come la comicità classica, quella che non ha bisogno di battute demenziali, possa ancora far ridere. Perché, a ben vedere, quando la comicità è fatta con intelligenza, non ha bisogno di artifici per colpire.

L’anatra come metafora del (dis)equilibrio

‘L'anatra all'arancia’ incarna proprio questa filosofia, riuscendo a trovare un equilibrio perfetto tra umorismo sottile e stereotipi volutamente caricati: mogli nevrotiche, mariti bugiardi e segretarie seducenti. Ma è proprio in questo contrasto che si annida il genio della commedia: i personaggi, seppur usciti da un copione già scritto, trovano nelle interpretazioni di Emilio Solfrizzi e Carlotta Natoli una nuova vita. Solfrizzi, con il suo timing impeccabile, è Gilberto, il marito tradito seppur lui stesso con la classica malattia delle donne. Natoli, al suo fianco, offre una versione più sfumata di Lisa, la moglie che, stanca di essere tradita, decide di intraprendere una relazione con un aristocratico, distaccandosi dalla versione di Monica Vitti nell’adattamento cinematografico del 1975, ormai leggendario.

Il cuore del gioco è l'“anatra all’arancia”, un pretesto per raccontare non solo il tradimento, ma anche le dinamiche di classe. Quando Gilberto si trova di fronte alla minaccia di un amante che, in termini di status e potere, lo supera, l’umorismo si fa più sottile e, al contempo, esagerato. Il piatto complesso da preparare diventa metafora perfetta di una relazione che cerca di rimanere intatta mentre è destinata a essere decostruita, proprio mentre Gilberto cerca di dimostrare la sua superiorità, accogliendo l’amante in casa. Un gesto che strappa la risata ma che, dietro il paradosso, rivela una triste verità sulla debolezza dei sentimenti e l’irritazione infantile di chi è abituato a sentirsi in controllo.

Gli anni 60 e la rilettura odierna

Quando questa commedia si muove nel contesto degli anni 60 in cui è stata concepita, il quadro sociale sembra cristallizzato nel tempo: tutto rientra in una società patriarcale che giustificava la possessione come parte del gioco. Ma trasportata sul palco del 2025, è impossibile non notare come dietro la nube di risate emergano le crepe di quella narrazione. La risata, pur facendo ridere, porta con sé un retrogusto amaro.

L’umorismo di questa commedia è talvolta di nicchia, talvolta più sornione, come quando Solfrizzi impiega battute ripetute, capaci di diventare il tormentone che fa il giro della sala. E allora, tra battute sagaci e gaffe involontarie, il pubblico esplode in applausi ogni volta che il gioco comico si compie.

Gregori guida il ritmo dell’intero spettacolo con mano ferma, evitando il rischio di far deragliare la commedia in eccessi stilistici o nel baratro del patetico. La costruzione del conflitto, le piccole (ma non banali) dinamiche di gelosia, sono articolate con un tempismo che rende lo spettacolo una riflessione sulla natura delle relazioni. Non è tanto il tradimento che ci fa ridere, ma il modo in cui, attraverso questa situazione esagerata, si palesano le contraddizioni di una società che, pur evolvendosi, rimane ancorata a dinamiche che sembrano immutabili.