laR+ L'intervista

‘I'm not a Hero’, l'impossibilità di essere eroi

Kevin Blaser e Faustino Blanchut si chiedono cosa ci impedisce di diventarlo, dal 12 al 14 aprile al Teatro Foce, in maggio al Dimitri

Tra i lavori vincitori del Premio 2023
(Yoshito Kusano)
11 aprile 2024
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“Dove ci posizioniamo quando le scelte più nobili sembrano già farci cadere in un infinito turbinio di difficoltà? Vale la pena di tentare di diventare l’eroe/eroina che vorremmo divenire o forse è meglio lasciare questo ruolo a qualcun altro?”. Se lo chiedono Kevin Blaser e Faustino Blanchut a nome della compagnia Fluctus, che in ‘I’m not a Hero’ (Non sono un eroe) indagano – dalle note di presentazione – “la relazione tra l’eroico e il gretto, tra l’ideale e il banale”, interrogandosi su quali misteriose forze ci impediscano, nel quotidiano, di fare la cosa giusta.

‘I’m not a Hero’, concentrato di teatro fisico, poesia e umorismo, è tra i lavori vincitori del Premio 2023, riconoscimento nazionale che vuole incoraggiare le arti sceniche, assegnato ogni anno con un bando. Il progetto nasce dal desiderio di Blaser e Blanchut di consolidare una visione artistica che li accomuna sin dai giorni dell’Accademia Dimitri, nella quale si sono diplomati dieci anni fa. Il progetto comune arriva soltanto ora perché sino a oggi le strade li avevano portati in direzioni diverse. Due anni dopo l’ideazione, il debutto. Dal 12 al 14 aprile lo si vedrà al Teatro Foce di Lugano (info: www.foce.ch); dal 10 al 12 maggio, al Teatro Dimitri di Verscio (info: www.teatrodimitri.ch).

Blaser, Blanchut, senza svelare troppo: volete risponderci in anticipo alle domande di cui sopra?

Blaser – Il nostro spettacolo vuole incoraggiare tutti noi nel tentare di essere eroici nel quotidiano. Un eroismo inteso come uscire dalla propria zona di conforto per agire in tutte quelle situazioni che presentano la necessità di un aiuto. Io e Faustino mettiamo in campo tante domande, con lo scopo di invitare tutti a osare, a lasciare lo stato di comodità tutte le volte che si fa strada una possibilità di intervenire invece che isolarci, un isolamento individuale verso il quale la società odierna non fa che indirizzarci. Pur con tutte le difficoltà del caso, ci preme spingere a fare il contrario, ad avere l’incontro con l’altro.

Blanchut – Parliamo di situazioni non straordinarie come potrebbe essere il salvare qualcuno che sta per affogare, che è certo un atto di eroismo. Parliamo di cose meno eclatanti, a proposito delle quali abbiamo realizzato interviste e candid camera nel Locarnese, giocando, proponendo situazioni di eroismo quotidiano. Abbiamo individuato piccole cose non straordinarie che diventano sempre più difficili da compiere. Un esempio: il dover viaggiare spesso, in quanto artista, mi ha fatto notare come alcune compagnie aeree facciano pagare per mettere persone al tuo fianco. In questa situazione basta parlare con il vicino e dire: “Ti va di cambiare posto?”. Queste e altre piccole attenzioni sono a portata di mano e invece, a volte, danno luogo a incomprensioni, al pericolo di sentirsi giudicati o di giudicare. Anche se sbagliamo, è bello mantenere questa cosa viva.

Annunciate poesia, ironia e teatro fisico. Tecnicamente, a cosa assisteremo? Nelle foto di scena vi vediamo tra il pubblico, dentro pozzanghere, e piedi che schiacciano mani…

Blaser – Traduciamo la tematica che abbiamo appena descritto nella storia di due personaggi che vorrebbero dare vita a un incontro, perché entrambi vedono nell’altro che qualcosa si è rotto e potrebbe essere riparato, ma che per via di proiezioni mentali non riusciranno mai a riparare. Il proiettare troppe paure l’uno sull’altro rende la cosa impossibile. Raccontiamo tutto questo con un linguaggio molto codificato, che viene dalla nostra formazione di teatro fisico, con l’inserimento nella narrazione sia del mondo della danza che di quello dell’acrobatica.

E poi c’è il pubblico, in cerchio attorno a noi, chiamato a intervenire per aiutarci a mandare avanti la storia e le metafore sollevate. Lo spettacolo diventa atto collettivo, non ci tiriamo indietro e chiediamo un contributo anche allo spettatore.

Le costruzioni mentali, qui responsabili del rifiuto dell’atto eroico, paiono la risposta principale alle vostre domande…

Blaser – Sì, la zona di conforto ci permette di non esporci, mantenendo tutto nello status quo di un non disturbo…

Blanchut – … è confortevole, posso restare nel mio anonimato, garantirmi la mia tranquillità, non mettermi in gioco per correre il rischio di essere vulnerabile. È uno stato che proviamo a fare emergere con il vocabolario fisico, il camminarci sulle mani riferisce del rapporto di prevaricazione.

Blaser – Umore e ironia fanno parte del nostro codice stilistico. Il racconto viene narrato al pubblico insieme al pubblico, e con il pubblico si creano fraintendimenti anche buffi, utili a guardare il presente, soprattutto di questi tempi.

Che importanza ha avuto il Premio 2023 per il vostro lavoro?

Blaser – È stata una bellissima esperienza. Ci ha inseriti in un circuito nazionale molto importante, che ci ha consentito di fare residenze artistiche a Zurigo, Ginevra, a incontrare altri operatori, a mostrare il nostro lavoro anche in francese e tedesco. Questa situazione nazionale ha dato freschezza allo spettacolo, confidiamo in nuove date. L’anno prossimo andremo a Berna, speriamo di tornare a Zurigo e Ginevra. Ora ci concentriamo sul debutto.

Essere artisti oggi può considerarsi un atto eroico? Parlo anche e soprattutto del lato comunicativo, dell’esporsi, guardando ad altri spettacoli come ‘L’incatenato’, di Blaser, sempre dal tema fortemente sociale…

Blaser – La ricerca che abbiamo fatto ci ha aiutati a capire che se ognuno si espone il dovuto verso l’altro, in qualsiasi situazione, compie un atto eroico. Anche se il teatro è fatto di finzione, se è fatto in modo onesto, credo si possa considerare tale.

Blanchut – Essere artisti ci consente di poter sempre spendere una parola su quel che riusciamo a ‘digerire’ della nostra epoca. Questa può essere una fortuna. Per allargare il discorso, per essere veramente eroici, dovremmo però poter disporre autonomamente di fondi, di tecnica, di mezzi per poter portare ‘I’m not a Hero’ in luoghi sempre più inaspettati.

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