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‘Songs of Wars I have seen’, la musica nel gineceo

Scenografia efficace, nove lingue diverse, un'intenzione ‘dantesca’ per un concerto nel quale il parlato è contato almeno quanto la musica (visto al Lac)

Con Heiner Goebbels durante le prove
(900presente facebook)
20 aprile 2023
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La vita domestica di una donna in un paese in guerra, narrata da una protagonista, fa accapponar la pelle. L’evocazione di questa vita fatta da chi ha vissuto dopo è un racconto storico che richiede tanta acribia e poca emozione. Scrivo questo perché del “concerto scenico” seguito martedì nella Sala Teatro del Lac ricorderò forse più il testo parlato che la musica.

‘Songs of Wars I have seen’ (2007), musica di Heiner Goebbels (*1952) su testi di Gertrude Stein (1874-1946) scritti nella Francia occupata tra il 1942 e il 1944. Sono racconti apparentemente di vita quotidiana, possono sembrare banali come elenchi della spesa, ma invece si reggono su un pensiero filosofico, che promuove almeno la virtù del desiderio. Goebbels cita una musica che Matthew Locke scrisse nel 1667 per ‘La Tempesta’ di Shakespeare, ossia risale agli anni in cui Baruch Spinoza pubblica la sua Etica, che esalta la forza di quel desiderio, guardato con sospetto da Platone, conculcato dalla filosofia scolastica medievale, forse ancora poco rassicurante nell’inquietudine del nostro tempo.

Francesco Bossaglia ha diretto un Ensemble900 di diciannove strumentisti, quindici le donne, vestite casual con colori molto vivaci. Il programma di sala dava anche informazioni biografiche sul regista Fabrizio Rosso, sul regista del suono Luca Congedo, sulla scenografa Milly Miljkovic: è infatti stata molto efficace la scenografia segnata da contrasti luminosi forti. In sala era presente il compositore, che alla fine il pubblico ha potuto applaudire sul palco. Con la presenza imponente di clavicembalo, pianoforte, arpa, liuto e una complessa percussione, la scena era resa ancora più complessa dalla presenza enigmatica tra gli strumentisti di una decina di lampade con abat-jour salottiero a tronco di cono.

Unica peculiarità dell’esecuzione luganese: le strumentiste col doppio incarico di suonare leggere il testo di Gertrude Stein han potuto farlo nella loro lingua. Abbiamo così ascoltato nove lingue diverse sempre con l’aiuto della traduzione italiana, che appariva in alto davanti al palco.

‘Songs of Wars I have seen’ racconta, dal 1942 al 2007, 65 anni di storia europea con la felice evoluzione della condizione femminile, una festa per ogni gineceo; suggerisce la probabilità di altre felici evoluzioni, ma costringe anche all’impatto con una realtà che non è come ci appare. Insomma non è uno spettacolo che vuol blandire il pubblico. Mentre l’ascoltavo ho pensato al bosco dantesco “che da nessun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco, non rami schietti, ma nodosi e involti…”.

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