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Mentana scansati, è Maratona Baglioni

Tre ore e 37 minuti tra canzoni e affascinante soliloquio (anche autoironico sulla durata). Era Claudio Baglioni al Lac, ‘Dodici note’ e un’ovazione

Uomo di varie età
(Roberto Panucci)
7 marzo 2023
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Da solo al pianoforte non è una novità. La prima volta fu ‘Assolo’, tour e album del 1986 nei quali Claudio Baglioni suonava tutto il suonabile: pianoforte, chitarre, tastiere e alcuni intrugli midi (Musical instrumental digital interface, "il protocollo standard per l’interazione degli strumenti musicali elettronici, anche tramite un computer"), aggeggi futuristici grazie ai quali il battersi il petto con il pugno, percuotendo sensori sotto la camicia, produceva un loop percussivo da lasciare a bocca aperta. Lo stupore che ogni nuova tecnologia sempre produce e che al tempo, non di meno, produsse.

La volta dopo fu Napoli, per chi abitava a Napoli. Per tutti gli altri italiani, Telepiù, canale satellitare che registrò, per poi trasmetterlo, il concerto per pianoforte e voce al Teatro San Carlo grazie al quale anche l’ultimo dei denigratori del Baglioni si sarebbe guardato allo specchio per fare autoanalisi. Era il 2001 e Repubblica scriveva: "A causa delle riprese televisive, affidate a Telepiù, al pubblico in sala è stato chiesto dall’organizzazione di non fare fotografie e di riservare il tributo di applausi che da sempre accompagna ogni esibizione di Baglioni solo alla fine del concerto per non rompere l’incanto".

‘E gli occhi tuoi per sempre nei miei occhi’

L’annuncio di Lugano non contiene alcun "vietato fare fotografie", come nei teatri si ascolta di norma, bensì un più moderato "non usate i flash". Il fotografo seriale, ma pure chi più umilmente desidera tornarsene a casa con un’immagine della serata, si sente così autorizzato a fare uno scatto in più, a riprendere dieci secondi di ‘Solo’, o ‘Dieci dita’ (2013, da ‘Con voi’), a inizio concerto. Ma è un tranello, perché il tormentone di ‘Dodici Note Solo Bis’, il Baglioni pianoforte e voce che ha aggiunto altri sei concerti al lungo tour in solitaria, è il rapporto del cantautore con i telefonini ai suoi concerti, introdotto – guarda caso – in concomitanza con ‘Fotografie’, anno 1981, splendido ritratto di due innamorati al capolinea, con lui che sfoglia l’album per rendersi conto che, appunto, "è finita e tra le dita non ci sono che fotografie".

I siparietti sulle abitudini del pubblico smartphone in mano ai suoi concerti sono uno dei temi della serata, perché da Napoli 2001 in avanti ci sono 22 anni di storia musicale e umana in più, e questo Baglioni che tra un brano e l’altro si prende più tempo delle canzoni per affabulare, incantare, intrattenere, fa parlare la maturità, in una costruzione di spettacolo che sa di teatro canzone i cui temi non saranno politici, ma esistenziali sì: con l’amore al centro, perché lui lo ha cantato meglio di tanti altri (quello disperato di ‘Quante volte’ e ‘Con tutto l’amore che posso’, quello giovanile di ‘Amori in corso’, quello per il figlio in ‘Avrai’) e intorno la vita d’artista (‘Io sono qui’, ‘Uomo di varie età’) e quella vissuta (‘I vecchi’, ‘Gli anni più belli’). Il pubblico del Lac pare amare particolarmente ‘Io me ne andrei’, ma l’ovazione arriva su ‘Mille giorni di te e di me’, nel cui "Ti presento un vecchio amico mio, il ricordo di me" (gran finale che si alza di tono) c’è il succo di molte storie che finiscono senza mai finire davvero pur essendo a tutti gli effetti finite (è chiaro?).

E adesso la pubblicità?

La forma pianoforte e voce, come anche quella chitarra e voce, è il banco di prova di tutte le canzoni che ogni cantautore si è scritto. Quelle valide, stanno in piedi senza nulla di più. Che i classiconi stessero in piedi lo si sapeva, ma stanno in piedi pure quelle dall’ultimo, prezioso album ‘In questa storia, che è la mia’ (2020), e cioè ‘Mal d’amore’, ‘Pioggia blu’ e ‘Dodici note’. Con lungimiranza, il Baglioni ha intelligentemente abbassato le tonalità ad alcune delle sue opere vocalmente più ‘impiccate’ (‘Notti’, ‘La vita è adesso’, ‘Strada facendo’), facendo peraltro sfoggio di note basse così precise da fare invidia ai crooner.

Abbiamo fin qui omesso la durata dello spettacolo, che per lunghezza (quasi quattro ore) sa di ‘Maratona Mentana’ ma anche di quella festivaliera, quel Sanremo dal Baglioni elegantemente diretto e rivoluzionato – introducendo rapper e i trapper – assai prima dell’Amadeus. A metà concerto, il Claudio nazionale fa intendere l’arrivo di una pausa parlando di come i professionisti della tv lancino, ognuno a modo suo, i cosiddetti "consigli per gli acquisti"; il divertente preambolo, alla fine non regala la pausa, ma solo (riduttivo) ‘E adesso la pubblicità’ da ‘La vita è adesso’ (1985), un ritratto d’epoca fatto di alienazione televisiva e incomunicabilità intergenerazionale sempre attuale.

‘C’eravamo’

La durata, dicevamo. Sull’"andare lontano" di ‘Poster’, il Lac era già passato dalla dimensione ‘Sala concerto’ a quella di ‘Stadio’: verso l’epilogo di un concertone senza pausa che ha incluso un divertente siparietto sul catetere e altre autoironiche soluzioni per arrivare fino alla fine, il soliloquio s’interrompe per la funzione religiosa di ogni concerto pop, il medley, che da ‘Amore bello’ conduce fino a ‘La vita è adesso’, con il Lac rispettoso, ognuno al proprio posto – perché siamo in Svizzera, mica a Caracalla – ma in piedi e fortemente canterino. E il canto di gruppo, ahinoi, se ne infischia del gran pianismo con il quale il Nostro riarrangia finanche ‘E tu…’, riproducendo le orchestrazioni di Vangelis su quell’omonimo album di quasi cinquant’anni fa.

Quando, dopo tre ore e 37 minuti, tutto è finito, quando Baglioni dice che noi, ma anche lui, a Lugano quella sera "c’eravamo", qualcuno irrispettosamente grida "Ancora una!", ma stavolta è una battuta (nota per l’ufficio stampa permaloso: la battuta di un baglioniano dalla nascita, venuto a ringraziare, per una volta ancora, un Maestro).


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‘C’eravamo’

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