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Irene Papas, l’ultima dea greca

Donna eccezionale, capace di segnare il tempo in cui è vissuta e di pagare le sue scelte, fino all’amaro cammino dell’esilio

Cannes, novembre 1979
(Keystone)
14 settembre 2022
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Iríni Lelékou (Ειρήνη Λελέκου) è morta oggi, 14 settembre 2022, là dove era nata, a Chiliomódi, Corinto. La maggior parte delle fonti riporta (erroneamente) la data di nascita al 3 settembre 1926; altre riportano il 3 settembre 1929 o il 9 marzo 1926. Secondo il registro comunale, il suo anno di nascita è il 1929. Per un certo periodo, dopo il matrimonio con il regista Alkis Papas, si chiamò Iríni Pappá (in greco moderno Ειρήνη Παππά), ma è conosciuta nel mondo come Irene Papas. Greca, attrice teatrale e cinematografica, cantante, politica nelle file del Partito Comunista di Grecia, una donna eccezionale, capace di segnare il tempo in cui è vissuta, capace di pagare le sue scelte, come quando dovette affrontare l’amaro cammino dell’esilio nel 1967, dopo avere chiesto un ‘boicottaggio culturale’ contro il ‘Quarto Reich’, cioè la dittatura fascista dei colonnelli in Grecia.

‘Cariatide vivente’

In quel tempo, Irene cantava le canzoni di Míkis Theodorákis e aveva già vinto il premio come miglior attrice al Festival di Cannes 1962 interpretando ‘Elektra’, nel film del regista greco Michael Cacoyannis; l’anno prima era stata inimitabile Antigóné, nell’omonimo film che il regista George Tzavellas aveva tratto, con un fulgido bianco e nero, da Sofocle. Era nata alla tragedia greca, la sua era una famiglia d’insegnanti, il nonno, i genitori e la zia hanno influenzato la sua educazione. Sua madre, Eleni Lelekou, nata Prevezanou, era un’insegnante dell’Epiro, che le legge spesso numerose storie e fiabe; suo padre Stavros Lelekos, insegnante di teatro classico, era il preside della scuola di Sofiko, in Corinzia, e le aveva insegnato a leggere il greco antico; i suoi genitori si sono opposti con forza quando, da adolescente, ha detto loro di voler fare l’attrice. Ma lei, dopo aver frequentato la Reale Scuola d’arte drammatica di Atene, aveva debuttato giovanissima come cantante e ballerina nel varietà, dedicandosi poi al teatro classico. Alékos Sakellários scrive di averla vista per la prima volta in piazza Sýntagma ad Atene: nel suo aspetto, nel suo abbigliamento e nella sua camminata, gli sembrava una ‘Cariatide vivente’; la presentò alla casa di produzione Finos Film e lei apparve nel suo primo film nel 1948, ‘Angeli perduti’ di Níkos Tsifóros. Questo mélo, uscito al culmine della guerra civile greca (1946-1949), fu visto come una denuncia del dominio della società greca da parte di nuovi ricchi senza scrupoli. In seguito, la ritroviamo come attrice cinematografica nel film di Frixos Iliades ‘Necripoliteia’ (La città morta, 1951). Ambientato nell’antica città greca di Mistra, il film fu proiettato al Festival di Cannes del 1952, dove Papas fu accolta dalla stampa internazionale e fotografata mentre si intratteneva con il playboy Karim Aga Khan IV, futuro imam degli ismailiti nizariti.

Personificazione della bellezza

Negli anni Cinquanta interpretò in Italia ruoli secondari in film nei quali fu valorizzata per la sua bellezza più che per il suo talento (tra gli altri, nel 1953, ‘Le infedeli’ di Steno e Mario Monicelli; nel 1954, ‘Attila’ di Pietro Francisci). La breve e di scarso rilievo esperienza hollywoodiana le fruttò il film ‘Tribute to a bad man’ (La legge del capestro, 1956) di Robert Wise e altri film minori, aprendo al cinema di produzione internazionale. Ma è il ritorno in patria e soprattutto l’incontro con Michael Cacoyannis che segna definitivamente il suo cammino. Dopo ‘Elektra’, lui la dirige magnificamente in ‘Alexis Zorbas’ (Zorba il greco, 1964) a fianco di un indimenticabile Anthony Quinn: lei esalta la sua interpretazione di uno dei personaggi chiave del romanzo di Nikos Kazantzakis e il film vince tre Oscar. Poi l’attrice e il regista si incontrano ancora e lei sarà Elena di Troia in ‘The Trojan women’ (Le Troiane, 1971) e ‘Clitemnestra in Iphigenia’ (Ifigenia, 1977). Nel frattempo, la sua fama è già aumentata con ‘Z ’ (Z ‒ L’orgia del potere, 1969) di un altro regista greco, Costantin Costa-Gavras, e sono altri tre Oscar e due premi a Cannes per il film, in fondo lei è comunista e non può essere accettata agli Oscar, nemmeno per ‘I cannoni di Navarone’ (1961). Il suo personaggio è qui un’aggiunta al romanzo di Alistair MacLean da cui il film è tratto: Papas interpreta una combattente della resistenza che prende parte attiva all’azione, un personaggio femminile forte pur essendo l’oggetto del desiderio degli uomini. Gerasimus Katsan scrive che in ‘I cannoni di Navarone’ interpretava una partigiana "dura come la roccia (...) capace, impavida, stoica, patriottica ed eroica". Quando gli uomini esitano, lei uccide. Fra le sue migliori interpretazioni: ‘A ciascuno il suo’ (1967) di Elio Petri, dove lei è ormai ‘la Papas’. Olga Kourelou ha scritto che i registi, da Cacoyannis in poi, hanno utilizzato costantemente il suo aspetto: "La sua pelle bianca come il gesso e i lunghi capelli neri, gli occhi castani scuri, le folte sopracciglia arcuate e il naso dritto fanno apparire Papas come la personificazione della bellezza greca". E, ancora, ha scritto che la macchina fotografica spesso la fotografa di profilo, richiamando intenzionalmente l’iconografia greca antica.

Il teatro

A parte i tre film con Manoel de Oliveira: ‘Party’(1996), ‘Inquietude’ (1998) e ‘Um Filme Falado’ del 2003, – e il regista lusitano di lei ha detto: "Questa grande tragica è la grande e bella immagine che incarna l’essenza più profonda dell’anima femminile. È l’immagine della Grecia di tutti i tempi..., la madre della civiltà occidentale" – proprio il Portogallo le dimostrò il suo apprezzamento sostenendo il teatro da lei fondato per la rappresentazione di tragedie antiche. Per questo teatro, Irene Papas ha risieduto in Portogallo durante i suoi ultimi anni di attività. Ma non dimentichiamo che ebbe problemi anche con la musica, con una canzone: è ‘∞ (Infinity)’, dall’album 666 degli Aphrodite’s Child del 1972, con Vangelis, Demis Roussos e Lucas Sideras. L’attrice legge un testo dall’Apocalisse di Giovanni e canta ripetutamente e selvaggiamente "I was, I am, I am to come", su di un sottofondo percussivo, suscitando polemiche per quello che l’etichetta Mercury ha definito un "orgasmo grafico". Anche questa era Irene Papas. Applausi.

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