Venezia 79

Com’è triste Venezia senza pubblico in sala

Il dramma alto-borghese di ‘The Son’, la madre che annega la figlioletta in ‘Saint Omer’, e la grande musica

‘The Son’ del regista francese Florian Zeller
(Keystone)

Ormai è un’abitudine trovare le sale vuote in questa Mostra che arranca verso la fine seminando menzogne di successo aiutata da media servili incapaci d’indipendenza per paura di perdere una fetta della torta. Lo stesso si va al cinema con il biglietto e a nulla servono le tessere colorate in nome di una democrazia falsata dai ristoranti pieni, ma ancor di più i negozi di alimentari e le pizzerie d’asporto, i due mondi a confronto.

Dramma alto-borghese

Abbiamo visto in competizione ‘The Son’ del regista francese Florian Zeller, già premio Oscar per la sceneggiatura del suo primo film ‘The Father’. Continuando nel suo viaggio all’interno del gruppo familiare, più attento alla sceneggiatura che a un originale linguaggio cinematografico, ci porta nel mondo dell’alta borghesia statunitense per presentarci Peter (un ingessato Hugh Jackman) che sta per trovare la posizione dei suoi sogni a Washington, che si gode i sorrisi del neonato regalo di Beth (Vanessa Kirby), la sua giovane seconda moglie, e che d’un tratto si trova alla porta Kate, una disperata prima moglie (una poco credibile Laura Dern), angosciata perché Nicholas, il loro ormai adolescente figlio, marina la scuola da un mese. Coinvolgendo in qualche maniera Beth, Peter si porta a casa Nicholas, scoprendo che si tormenta i polsi con un coltello, ma senza sospettare la tremenda china che aspetta lui e le sue due famiglie. Il film mette il dito sulla piaga dei matrimoni che si allargano, e fanno male le parole che l’adolescente rivolge alla giovane moglie di suo padre, accusandola d’insensibilità e quasi di frode amorosa nei confronti di se stesso e di sua madre. Finisce in un ospedale psichiatrico, e poi – riacquistata la libertà per il grande amore che tutti hanno verso di lui – toglie il disturbo alle loro vite e si suicida, lasciandoli colpevoli per i loro giochi amorosi della sua morte. Non è una parabola, è uno sguardo sulla realtà.

Nel segno di Medea

Ancora i figli sono al centro del secondo film in Concorso, ‘Saint Omer’, firmato da una sensibile Alice Diop che ritorna a filmare la diversità culturale dell’area in cui è cresciuta, raccontando un fatto di cronaca che fece scalpore nel 2016, il processo di una donna che aveva ucciso la figlioletta di pochi mesi abbandonandola su una spiaggia in Francia con l’alta marea. Spiega la regista, che all’epoca assistette al processo: "Ho pensato che la donna avesse voluto offrire la figlia al ‘mare’, una ‘madre’ ben più potente di quanto non potesse esserlo lei stessa. Ispirata da questa storia vera e spinta da un’immaginazione intrisa di figure mitologiche, ho scritto questo film su una giovane scrittrice che assiste al processo di una madre infanticida, con lo scopo di scrivere una rivisitazione contemporanea del mito di Medea. Ho voluto girare questo film per sondare l’indicibile mistero di essere madre". E il film è d’incredibile durezza e di difficile penetrazione cinematografica, troppo profonda è la ricerca della regista che sceglie un linguaggio volutamente ctonio, perché nonostante la scienza misteriosa, resta la maternità e misterioso il legame che si crea tra le due vite quella che genera e quella che è generata. A confronto, l’accusata e la giovane donna che la scruta, incinta, i loro occhi si incrociano una sola volta con sguardi che raccontano eternità. Interprete d’eccezione è la scrittrice e artista Kayije Kagame, che da tempo risiede a Ginevra e che la scorsa primavera è stata protagonista di una performance alla Fondation Cartier; con lei una intensa Guslagie Malanda nella parte della madre assassina, e noi in platea a giudicarla.

Gioie e malinconie musicali

Fuori concorso, un interessante film musicale, ‘Music For Black Pigeons’, dei registi Jørgen Leth, Andreas Koefoed. Il titolo deriva da un brano del chitarrista danese Jakob Bro, che nel film di volta in volta si incontra e suona con nomi del calibro di Lee Konitz, Thomas Morgan, Paul Motian, Bill Frisell, Mark Turner, Joe Lovano, Andrew Cyrille, Palle Mikkelborg, Jon Christensen, Manfred Eiche e la leggendaria Midori Takada. Si ascoltano tutti mescolati in varie formazioni e registrati in studio o in vari concerti, uno anche a Lugano. Si ascolta la buona musica, il linguaggio cinematografico pulito e adeguato alla situazione; ci sono punte di malinconia, ma anche un’incredibile gioia musicale che pervade l’intero film. Applausi meritati.

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