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L’Osi, dalla pandemia alla ricerca di finanziamenti

Intervista al direttore artistico-amministrativo dell’Orchestra della Svizzera italiana Christian Weidmann

(Ti-Press)
26 febbraio 2022
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Giorni importanti, per l’Orchestra della Svizzera italiana: il progetto dedicato a Ciajkovskij ha affrontato l’impegnativa sesta sinfonia, la celebre Patetica, portandola prima la Lac e poi in una mini tournée al Stadtcasino di Basilea e, venerdì 18 febbraio, nella Sala dorata del Musikverein di Vienna; sul fronte politico, settimana prossima il Gran consiglio voterà un’iniziativa parlamentare per assicurare un finanziamento stabile dell’Osi. Ne approfittiamo per fare il punto della situazione con il direttore artistico-amministrativo dell’orchestra, Christian Weidmann. Nato nel 1975 a Zurigo e cresciuto a Coira, Weidmann è succeduto nel settembre del 2020 a Denise Fedeli.

Christian Weidmann, l’Osi come ha attraversato quest’ultimo periodo pandemico?

Le ultime sei settimane sono state, dal punto di vista organizzativo, le più complicate dall’inizio della pandemia. L’attività dell’orchestra è come quella di prima, ci siamo abituati ai test e al certificato per il pubblico e a dicembre è arrivata la variante Omicron: tanti casi positivi, tante persone in quarantena e ci siamo ritrovati, come tanti altri, con un problema di personale. Se manca un violino di fila si può anche suonare con nove invece di dieci, ma se ne mancano quattro o cinque? O se non ci sono i due oboi? Per fortuna la situazione sta migliorando e nessuno nell’orchestra si è ammalato in maniera grave.

A gennaio abbiamo introdotto delle misure più rigide: test ogni giorno e maggiori distanze sul palco. Anche se per i musicisti è più difficile: lontani dai colleghi non si riesce a sentirsi e creare insieme un suono.

Attività che comprende una tournée: Basilea e Vienna.

A Vienna togliamo le distanze sul palco per la prima volta da due anni: la situazione lo permette e il palco del Musikverein è particolare, stretto. Vediamo la luce alla fine del tunnel e penso che anche questa tournée arrivi nel momento giusto, per aiutarci a dimenticare le complicazioni del passato e ripartire più serenamente in primavera.

In alcune orchestre ci sono state difficoltà per i molti musicisti non vaccinati. È un problema che anche l’Osi ha dovuto affrontare?

Non direi. Quello che abbiamo fatto è, con l’aumento dei casi dovuto a Omicron, tenere fuori le persone a rischio, perché non sapevamo se il piano di protezione sul palco sarebbe stato sufficiente con la nuova variante. Non è stato facile: parliamo di professionisti che volevano lavorare, ma abbiamo detto loro che in questo momento non era possibile. Ma da settimana prossima torneremo alla normalità.

Prima si è parlato, per l’Osi, di un’attività concertistica ai livelli di prima della pandemia. Tuttavia non ci sono stati quei momenti di incontro al di fuori della sala da concerto che dovevano essere uno degli elementi della sua direzione.

Sì e questo mi è mancato molto. Il cuore della nostra attività è nella sala, ma con questa distanza sociale – che brutta espressione! – dobbiamo chiedere ai musicisti di non bere un caffè insieme e non possiamo incontrare il pubblico in altri contesti, senza quel muro che c’è tra il palco e la platea. Su questo punto siamo ancora più prudenti, ma sono fiducioso che presto riusciremo a organizzare questi incontri e che il pubblico sarà pronto a incontrare l’orchestra anche fuori dalla sala.

Parliamo anche di eventi speciali come il concerto al Vanilla di Riazzino?

Sì. Anche all’interno del progetto Tracce, dedicato a Ciajkovskij, erano previsti incontri particolari. E c’è sempre l’intenzione di collaborare con il Vanilla di Riazzino, ma per loro la situazione è stata ancora più dura che per noi. Abbiamo perso tempo perché, con le difficoltà legate alla pandemia, le risorse sono state assorbite dall’organizzazione della stagione ordinaria. Ma ci arriveremo perché ritengo sia molto importante incontrare il pubblico in contesti più aperti, meno formali. Stiamo lavorando a un progetto che, nel giugno dell’anno prossimo, dovrebbe diffondere l’orchestra nella città di Lugano, in luoghi in cui non ci si aspetta di ascoltare i nostri musicisti. Ma è presto per parlarne in dettaglio. E a luglio di quest’anno vogliamo organizzare qualcosa in montagna, non con l’orchestra sinfonica completa perché è sempre difficile tenere concerti all’aperto, soprattutto in montagna.

La sua carica è quella di ‘direttore artistico-amministrativo’: si tratta di due compiti certamente legati ma molto diversi e infatti in molti casi i ruoli sono separati. Non c’è troppo lavoro?

È vero, c’è tanto lavoro ma non sono solo, in direzione: insieme a me ci sono il vicedirettore Samuel Flury e la responsabile di produzione Barbara Widmer e insieme ci dividiamo i compiti partendo da una visione comune. Perché i due aspetti, quello amministrativo e quello artistico, vanno insieme: se uno sponsor vuole sostenere l’Osi, lo fa per un progetto artistico, non per l’amministrazione.

A proposito di sponsor: una parte della politica vorrebbe l’Osi più attiva nella ricerca di finanziamenti privati. Questo è possibile? Avrebbe conseguenze sull’attività dell’orchestra?

La mia prima preoccupazione è mantenere alta la qualità artistica dell’orchestra. Ma la sfida per noi come per tante altre orchestre è trovare le risorse per andare avanti con questa qualità. E la strada è far capire a tutti quelli che possono contribuire al futuro dell’orchestra – quindi ai privati, al pubblico, alla politica – che l’Osi non si limita a fare concerti per il migliaio di spettatori del Lac. Mi riferisco alle altre attività come ad esempio i concerti per le scuole, seguiti da undicimila allievi da tutta la Svizzera italiana, ma anche all’indotto economico che ha la nostra orchestra.

Aggiungo che la pandemia ha fermato anche questo aspetto di "networking": non è stato possibile incontrare le persone a cena, neanche stringere loro la mano a un evento.

L’Osi è quindi pronta a cercare nuovi sponsor?

Sì: sono convinto che ci siano le potenzialità. Non so quanto tempo ci vorrà e quante energie saranno necessarie, ma sono sicuro che ne varrà la pena.

Qual è il rapporto con il territorio? Proprio in questi giorni vediamo un’Osi presente al Lac, a Basilea e a Vienna.

Il nostro nome lo indica chiaramente: siamo l’Orchestra della, e nella, Svizzera italiana. Qui abbiamo la nostra sede, qui vivono i nostri musicisti, qui sta il nostro pubblico. Ma è come con le competizioni sportive: da un certo livello ci si vuole confrontare a livello internazionale, è un passaggio che fa parte dello sviluppo professionale: non uscire dal Ticino o dalla Svizzera sarebbe un errore. E suonare in un luogo come il Musikverein di Vienna, una sala in cui si misurano le migliori orchestre del mondo e dove il pubblico è abituato ad ascoltarle tutte le settimane, è una sfida e anche un rischio.

Ed è chiaro che per questa attività internazionale è indispensabile il sostegno dei privati.

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